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L'aggiornamento del blog non ufficiale si è concluso.Ci scusiamo per il disagio!
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L’appuntamento offrirà un ampio quadro dei Sacri Monti, evidenziando la loro unicità come siti di fede, arte, natura e cultura e, ribadendo il ruolo centrale delle comunità locali nel garantirne la vitalità e la trasmissione alle generazioni future.
Il programma si apre con l’intervento di Marina Feroggio, direttrice dell’Ente di gestione dei Sacri Monti e il saluto del sindaco Lucio Pizzi. Seguiranno gli interventi di Paolo Mira, direttore dell’Ufficio Diocesano Beni Ecclesiastici di Novara; Francesca Giordano, commissaria dell’Ente di gestione; fra’ Maggiorino Stoppa, custode del Convento del Monte Mesma; lo storico Enrico Rizzi; Antonio Aschieri, responsabile del settore gestione del territorio dell’Ente di Gestione; don Davide Busoni, rettore del Sacro Monte Calvario di Domodossola e Antonio Pagani, vicepresidente del Consorzio volontario per il restauro delle cappelle del Sacro Monte Calvario.
Il convegno verrà moderato dal giornalista Maurizio De Paoli, rappresentante della città di Domodossola nel Consiglio dell’Ente di Gestione dei Sacri Monti.
sdnews.it
La Stampa
Dopo decenni è il primo religioso rosminiano ossolano a guidare il Sacro monte di Domodossola: “Custodire la cella di Rosmini è come curarne il pensiero”

Santuario Santissimo Crocifisso al SACRO MONTE CALVARIO
Santa Messa Feriale (da Lunedì al Sabato ore 8,00)
Celebrazioni Domenica e Festivi Ore 10 e ore 17,30.
Gli orari riportati si riferiscono alle celebrazioni feriali domenicali e festive. In caso di particolari necessità nel corso dell’anno, gli orari potranno subire variazioni (per informazioni tel. 0324 242010)
Possibile visitare il Centro di Spiritualità del Sacro Monte Calvario, casa madre dei Rosminiani e chiedere ospitalità per l'organizzazione di gruppi oltre che naturalmente di singoli.... Chiedere dell'animatore del centro al numero + 39 0324 24 20 10

Lo scorso 31 luglio una Nota della Sala Stampa vaticana annunciava l’approvazione di papa Leone XIV al prossimo conferimento a John Henry Newman, uno dei più grandi pensatori moderni del cristianesimo canonizzato da papa Francesco nel 2019, del titolo di Dottore della Chiesa. Per l’occasione riprendiamo un articolo di Roberto Cutaia, pubblicato su L’Osservatore Romano l’11-12 agosto 2020, che testimonia del rapporto speciale tra John Henry Newman (1801-1890) e un’altra eminente figura dell’Ottocento cattolico, Antonio Rosmini (1797-1855).
L’Ottocento ha donato all’umanità due tra i maggiori pensatori dell’intera storia della cristianità: l’inglese John Henry Newman (1801-1890) − canonizzato nel 2019 da papa Francesco − e l’italiano Antonio Rosmini (1797-1855), beatificato nel 2007 da papa Benedetto XVI. Immaginiamo ora due tronchi d’albero sulle placide acque di un fiume: essi si abbandonano alla corrente, senza opporre alcuna resistenza; in modo simile anche Newman e Rosmini, obbedendo in coscienza alla voce della Provvidenza, non hanno replicato alle pesanti calunnie addossategli da influenti uomini del tempo.
Tra questi due veri figli della Chiesa in effetti c’è stata una forte intesa spirituale e coscienziale, proficua e determinante soprattutto per Newman, che, accostandosi ai Padri Rosminiani d’Inghilterra, ha maturato la svolta più importante della sua vita: la conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo, che – per ricorrere al suo raffinato eloquio «fu come entrare in un porto dopo essere stati nel mare in burrasca» (John Henry Newman, Apologia pro vita sua, Paoline, 2001, p. 378).
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Qual è stato l’importante apporto offerto dal rosminianesimo nella conversione di Newman?
La memoria liturgica del santo inglese si celebra il giorno della conversione al cattolicesimo, avvenuta il 9 ottobre 1845. Per liberare il campo da ogni equivoco, il londinese e il roveretano, duplice e splendente luce di un’unica fonte di Verità, non si sono mai incontrati di persona, nonostante l’ardente desiderio nutrito da parte di entrambi.
«Io spero che vedrò il sig. Newman – scrive Rosmini a mons. Lusquet, vescovo di Esbon, il 7 dicembre 1846 – che Ella menziona nella venerata sua lettera, al ritorno di lui da Roma. Manzoni mi recò la lettera di Philipps, che me lo raccomandava, qui a Stresa, e mi duole di non aver avuto occasione di prestargli qualche servizio da queste parti. […]» (Lettera 999, Epist. Ascet., v. III, Roma 1912, p. 334).
D’altro canto Newman, nella sua prima lettera inviata da Milano, annota:
«Ci siamo trovati in mezzo agli amici di Rosmini e siamo sorpresi di trovare quanto facciano i Rosminiani in queste parti […] Abbiamo una missiva per Rosmini, che è comunque assente […] Di fatto l’incontro non avverrà, e la ragione sembra a Newman piuttosto esile: “Rosmini è passato da Milano – è detto in una lettera del 18 ottobre –. Mi ha inviato un cortese messaggio, spiegando che non ci ha chiamati perché lui non sa parlare il latino e io italiano […] Vorremmo avere molto di più da dire di lui, ma non riesco a cogliere l’essenza della sua filosofia» (Inos Biffi, Newman, ossia: I Padri mi fecero cattolico, Jaca Book, 2009, pp. 90-91).
Una spiegazione più che plausibile riguardo al mancato incontro tra Newman e Rosmini ce l’ha fornita Pier Paolo Ottonello, uno dei massimi esperti viventi del Roveretano. In questa sede riportiamo qualche cenno:
«L’espressione recepita dal Newman nei termini “io Rosmini non so parlare latino e tu non sai parlare italiano” sarebbe dunque una sorta di messaggio cifrato, attraverso il quale avrebbe dovuto intendere pressappoco così: “io Rosmini conosco tanto gli ambienti romani che non voglio parlarne la lingua, e tu tanto poco li conosci che ti conviene il non saper parlare l’italiano”» (Pier Paolo Ottonello, Rosmini inattuale, Marsilio, 2011, pp. 173-185).
Ma, anche se Newman non ha mai incontrato Rosmini, la sua vita si è comunque intrecciata con quelle dei padri rosminiani della provincia inglese.
«Il 15 giugno 1835 verso mezzogiorno tre viaggiatori dall’Italia, risalendo il Tamigi, sbarcavano a Londra: erano missionari e li guidava un sacerdote romano, don Luigi Gentili (Antonio Rey ed Emilio Belisy, ndr). Con quello sbarco si iniziava “un capitolo della Seconda Primavera, the second spring” del cattolicesimo inglese come lo chiamò l’illustre vescovo di Salford, mons. Louis Charles Casartelli […] Sotto la direzione del Gentili a Grace-Dieu un ministro protestante, il Wackerbath, scolaro del Pusey, primo iniziatore di quel movimento di Oxford, fra cui il dott. Giorgio Ward (padre del famoso scrittore Wilfrid), e così Gentili veniva in contatto con quel movimento, di cui lui pure concepì le più liete speranze […]» (Osservatore Romano, 16 giugno 1935, p. 3).
***
Il primo incontro tra i teologi del Movimento di Oxford e i Padri Rosminiani è avvenuto in questo contesto:
«[…] Nell’autunno del 1841 quattro dei ministri di Oxford vennero a Grace Dieu; il Gentili strinse seco amicizia, e al contegno devoto in cui li vide assistere alla Messa e altre funzioni religiose nella cappella del luogo, ne rimase edificato. Uno di essi pare fosse il dottore Giorgio Ward, prebendato del Collegio di Balliol, che per ingegno e dottrina primeggiava fra gli anglocattolici: certo il Ward, scrivendo nell’ottobre di quest’anno al Phillips, gli manifesta la sua venerazione profonda al Gentili, che benignamente gli aveva dato leggere le Massime di perfezione cristiana del Rosmini, del qual libretto afferma “nulla poterci essere di più bello, più edificante, più sfuggente a ogni obbiezione”. E nel novembre il Gentili entrò in amichevole corrispondenza di lettere col Ward (Il Ward fu ricevuto nella Chiesa Cattolica il 3 settembre 1845, un mese prima del Newman) inviandogli le opere filosofiche del Rosmini; ed ebbe la consolazione di sapere indi a poco che i ministri di Oxford, messisi a studiare in quelle opere, ne traevano grande vantaggio e diletto […]» (La vita di Luigi Gentili; scritta da Giovanni Battista Pagani, Roma 1904, p. 256).
La comunione di spirito fra questi umili operai nella vigna del Signore, «Gesù Cristo è l’unico libro che importi leggere, letto il quale si possiede ogni tesoro di sapienza e di scienza» (San Tommaso d’Aquino, Commento ai Colossesi, 2,3), ha potuto sollevare la vita di migliaia di uomini dall’errore e solamente Lui, il Signore, che ha scrutato ed effuso la Grazia nel cuore di figli come Newman, Rosmini e Gentili, può veramente conoscere questi pilastri della fede ai quali noi ci accostiamo per dirla con Bernardo di Chartres: “Come nani sulle spalle di giganti”. Ebbene, a noi tutti questi campioni della fede hanno permesso d’intraprendere ed esperire la Fede − sapienza e il Cristo-Storico (medesimo titolo dell’opera del filosofo umbro Teodorico Moretti-Costanzi), assurgendo così la nostra realtà coscienziale oltre l’orizzonte temporale.
Insomma, per ricorrere alle vigorose parole scaturite dalla penna di Newman,
«[…] Accade di continuo nella storia della Chiesa che l’idea immediata e diretta che stimola gli uomini di fede a metter mano alla loro impresa sia solo una parte di essa o non abbia nulla a che vedere con ciò che in seguito gli eventi dimostreranno essere la missione. Tali uomini hanno un obiettivo definito in mente, e la Provvidenza li chiama; dunque essi partono armati di fede e obbedienza senza sapere dove li condurrà. Iniziano un compito limitato e sono condotti a impegnarsi per un lavoro più grande. Pensano ai propri fratelli e al proprio paese, ma la grazia e la benedizione di Dio fanno di loro un faro che illumina il mondo […]». (Scritti Oratoriani, introduzione e note di Placid Murray O.S.B, Cantagalli 2010, p. 179).
***
I “fari” che con i primi fasci di luce prima del mondo ebbero ad illuminare l’Inghilterra e l’Irlanda s’incontrarono.
«[…] Il 19 ottobre 1842 potè finalmente (il Gentili) dare una corsa sino a Oxford in compagnia del Phillips, e rivedere quei ministri dell’Università che già conosceva, e conoscerne altri e ragionare di religione con essi. Presso il Ward fece conoscenza di un giovine scozzese di nobile casato, Guglielmo Lockhart (passato alla Chiesa di Roma ed entrato nell’Istituto della Carità tra i Rosminiani: “Presbitero − anni di vita religiosa 49, London 1819 – London 1892; da Necrology of the brethren of the Institute of Charity”, 5ᵃ edizione 2008) che da poco aveva ottenuto il grado di baccelliere nel Collegio di Exeter: in questo primo incontro e colloquio col Gentili il Lockhart si sentì preso di venerazione verso di lui quasi a santo, e presto vedremo come in mano alla Provvidenza fu questo il filo per trarre il giovine dall’errore alla verità. Il Newman […] passava i più dei suoi giorni a Littlemore, poco lungi da Oxford, con alcuni pochi e fidi compagni, tra i quali il Lockhart, il Dalgairns, il Bowles menando vita quasi monastica, divisa tra lo studio e la preghiera e gli esercizi di penitenza. Che il Gentili lo abbia visitato a Littlemore è asserito dal Lockhart, il quale anzi aggiunge che dovette essere il dottor Bloxam quegli che introdusse al Newman il Phillips e il Gentili […] Il Gentili, narrata in una lettera la sua gita a Oxford e i particolari di essa, subito soggiunge: − Quegli che è alla testa del partito cattolico mi domandò d’istruirlo sul modo di dare gli esercizi, e quindi gli mandai gli esercizi del p. Generale (Rosmini) intitolati: Manuale dell’Esercitatore (scritti dal Rosmini tra il marzo e l’ottobre del 1839. Oggi nel Vol. 51 dell’Edizione Nazionale), che ora si adopera dai medesimi nel loro così detto Convento − […]» (La vita di Luigi Gentili; scritta da Giovanni Battista Pagani, Roma 1904, pp. 256-257).
Dei momenti trascorsi a Littlemore da Gentili, si legge anche nella missiva:
«Il Phillips poi, in una lettera al conte di Shrewsbury, descrive la visita che fece insieme col Gentili al dott. Newman, la cui cortesia parve loro tanto meravigliosa quanto l’erudizione e i talenti. Soggiunge che visitarono anche il Pusey, e lo trovarono quale se l’erano immaginato, uomo di umiltà pari alla dottrina; e che il Gentili ebbe con esso un colloquio importantissimo intorno al mistero della transustanziazione […]» (La vita di Luigi Gentili; scritta da Giovanni Battista Pagani, Roma 1904, p. 258).
Occorre però soffermarsi ancora sulla figura di Guglielmo William Lockhart, poiché abiurò l’anglicanesimo due anni prima del suo maestro John Henry Newman:
«[…] Il Newman aveva dato per compito al Lockart di tradurre in inglese la storia ecclesiastica del Fleury e di scrivere la vita di San Gilberto di Sempringham. Ma il giovane scozzese a cui già prima era balenato qualche dubbio, dopo la visita del Gentili, dopo la meditazione delle Massime del Rosmini, in cui vedeva delineato il tipo del cristiano perfetto, era profondamente inquieto. Un dubbio continuo, prima combattuto e represso, poi più forte di lui, lo agitava: – era egli sulla via del vero cristiano? Aveva egli nelle pratiche religiose che eseguiva, quel vero contatto con Cristo, da cui solo si deriva la grazia che fa i santi? – Infatti il Lockart anelava alla santità. Un giorno, dopo essersi confessato da Newman, gli rivolse una domanda, che, quante volte gli si era presentata altrettante aveva fino ad allora soffocato. Ora non più: bruciava troppo all’interno:− Siete sicuro, gli chiese tutto sconvolto, di avere la facoltà di assolvermi? − Il Newman rimase pensoso: la domanda toccava il punto essenziale. Era di quelle che, una volta poste, non possono restare senza una risposta netta e certa. Se non aveva la certezza di assolvere, dunque non era sacerdote di Cristo: dunque tutto l’anglicanesimo, anche vivificato da una pratica austera di vita, non era la religione vera di Cristo: e bisognava cambiar rotta» (Bollettino Charitas, luglio 2009, n. 7).
«Il Newman sentì bene tutto il peso della questione, né seppe trarsi d’impaccio, che rispondendo: – Perché a me questa domanda? Interrogatene il Pusey – . La risposta era la peggio che il Lockart si potesse attendere: da un uomo ad un altro soltanto perché ritenuto più capace, e più maturo d’anni e di studi. L’esigenza era di passare dall’incerto al certo, dall’umano fallibile all’infallibile divino. Si persuase dunque che non valeva neppure la pena di interrogare più che il Pusey […] bensì il prete romano (il p. Gentili), dal quale aveva sentito promanare come un profluvio delicato di autentica virtù evangelica e la forza di una divina certezza […] e lo fece dapprima beninteso all’insaputa del Newman, per lettera (la prima nel marzo del 1843 la seconda nel luglio 1843) […] svelato il suo nome e scusatolo di averlo innanzi taciuto, con quella confidente apertura, con quell’abbandono sicuro, che l’anima sitibonda di verità e di conforto sente soltanto per chi ha la certezza di essere investito di un potere sovrumano, il Lockart manifesta al Gentili le interne sue inquietudini, la forte propensione verso il cattolicesimo, gli incessanti appelli di Dio, i bisogni del cuore, la brama di conoscere il fine la natura e lo spirito dell’Istituto rosminiano […] non abbiamo le risposte del Gentili […] certo è che il giovane lasciava Littlemore e il Newman e i condiscepoli e si recava a Loughborough, nella contea di Lincoln, dove allora dimorava il Gentili […] Il Gentili, con lo sguardo scrutatore dei santi, seppe leggergli nel fondo dell’anima, più che il Lockhart non dicesse e non pensasse; e ne fece suo tutto il doloroso travaglio. Il Lockhart era legato al Newman dall’impegno preciso di non prendere nessuna decisione senza di lui e non prima di aver trascorsi tre anni alla sua scuola […] Ma una forza arcana lo urgeva potente, e gli faceva provare più e più da una parte il disgusto dell’anglicanesimo, sia pure vissuto con quell’altezza d’animo e con quelle austere esteriorità che si faceva a Littlemore […] Procrastinare anche di un poco sarebbe stato un rigettare il dono celeste, un’imperdonabile ingratitudine» (Bollettino Charitas, agosto-settembre 2009, n. 8).
«Il 26 agosto del 1843, nella cappella delle Suore Rosminiane di Loughborough, sotto gli sguardi di Maria SS. Annunciata a cui essa era dedicata, con indicibile gaudio dell’anima, nella gioia fraterna più schietta e più cordiale del Gentili e di pochi altri intimi, il Lockhart abiura l’anglicanesimo e si professa cattolico romano: pochi giorni dopo […] entrava novizio nell’Istituto della Carità. Dire come ne sia rimasto il Newman, è difficile. N’ebbe trafitta l’anima come da colpi di spada acuta.
Scrisse al Gentili, rammaricandosi forte e della corrispondenza tenuta dal Lockhart con lui, e dei patti violati […] Il 25 settembre nel discorso – La partenza degli amici – apriva pubblicamente l’esasperazione dell’animo; poi si raccolse in un più austero ritiro nel suo Littlemore, pregando, combattendo, soffrendo: ma poiché l’animo (del Newman, ndr) era buono e sincero, nel febbraio 1844, dopo uno scambio di lettere, si rappacificava col Gentili, e ringraziando questo delle sue parole affettuose e di un libro mandatogli in dono, ricordava con accorato affetto il Lockhart a cui chiedeva di essere ricordato e raccomandato per preghiere […]» (Bollettino Charitas, ottobre 2009, n. 9).
Pochi mesi dopo la “riappacificazione” con i rosminiani, la Grazia aveva continuato a operare nel cuore di Newman, così il 9 ottobre del 1845, per opera del padre passionista Domenico della Madre di Dio, faceva anch’egli il suo ingresso nell’ovile in cui Cristo pasce le pecorelle da lui redente: «[…] Certamente il padre Domenico della Madre di Dio – scrisse lo stesso Newman – era uno strepitoso missionario e predicatore, ed ebbe gran parte nella mia propria conversione mia e di altri» (Osservatore Romano, 18 maggio 1935, p. 3).
***
Ancora a proposito della conversione di Newman, il Pusey ha redatto un articolo sulle colonne giornale francese “L’ami de la Religion” che porta la data del 6 novembre 1845. Rispetto a questo pezzo il Rosmini ha aggiunto a sua volta delle osservazioni di lode, inviandole direttamente all’autore con una lettera datata 13 novembre 1845, che si concludeva con questo explicit:
«[…] Io credo che quelli che si unirono testé alla Chiesa Cattolica, abbiano trovata la via più sicura e più breve per ristorare a nuova vita la Chiesa anglicana. Le mie preghiere, o piuttosto quelle di noi tutti cattolici tendono a questo: ma noi preghiamo specialmente per colui, di cui il Signore si servì e si serve per purificare la Chiesa anglicana dall’eresia, e per mezzo del quale ha fatto nascere in essa un movimento si consolante: noi preghiamo caldamente, acciocché il Signore si degni di fare divenire costui una di quelle pecore che affidò a Pietro, quando gli disse – Pasci le mie pecore – […]» (Epist. Compl., vol. IX, 1892, lettera 5478, p. 405).
Infine, a una lettera redatta di suo pugno il 20 gennaio 1846, Rosmini affidava al Conte Giacomo Mellerio queste parole alate:
«Il Pagani mi scrive consolato dell’edificazione, che diede il signor Newman al nostro noviziato, dove la vigilia dell’Epifania fece la sua confessione, e ricevette la santissima Comunione nella nostra cappella. – Deh! Che spettacolo edificante, scrive, il vedere il signor Newman ricevere la sacra Comunione inginocchiato per terra coi nostri laici, e dietro ai nostri chierici, tra i quali si trovava il nostro Lockhart, una volta suo alunno, e figlio spirituale. Quantunque egli sia stato parroco dell’Università di Oxford e goda la fama di essere il primo ingegno d’Inghilterra, tuttavia egli non ha la minima pretensione, e brama essere trattato come l’ultimo dei convertiti» (Epist. Compl. Vol. XIII, lettera 8116, p. 230).
Per concludere, a significare lo stretto rapporto e l’affinità spirituale tra Rosmini e Newman, e tra i rosminiani e gli oratoriani, ecco cosa scrisse il Newman, venuto a conoscenza della morte di Rosmini:
«Scrivo due righe alla Reverenza vostra per condolermi con voi e con i vostri Padri della perdita del vostro rinomato e santo Fondatore. La nuova mi sopraggiunse improvvisa e intimamente mi commosse, poiché, sebbene egli appartenesse al vostro Istituto specialmente, un uomo come lui, fino a tanto che rimaneva in terra, era una proprietà di tutta la Chiesa. Io temo che le tribolazioni sofferte gli abbiano abbreviato la vita. Ieri mattina ho celebrato una Messa da morto per lui: spero che egli non si dimenticherà di me, appena sarà giunto in cielo, quantunque ben possiamo credere che egli vi sia già pervenuto» (Lettera di Enrico Newman al Padre G.B. Pagani, 10 luglio 1855. Vol. II Vita di A. Rosmini, curata da Guido Rossi, 1959).
«Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri» (Dai Discorsi, di san Bernardo, abate).
Settimana News
Eredità. Gli ultimi mesi di vita di Antonio #Rosmini tra #fede, #filosofia e #memoria https://t.co/6UxeG1jVjQ pic.twitter.com/NqNvAoAnmq
— Comunicazione WEB (@blogfp) July 1, 2025
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Avvenire Ludovico Maria Gadaleta martedì 1 luglio 2025 Avvenire«È già il quarto mese che sono ammalato d’incomodi intestinali e passo la mia vita oziando tra il letto ed il lettuccio», lamenta Antonio Rosmini in una lettera all’amico Gustavo Cavour nell’aprile 1855.
Dall’ottobre precedente si trova nuovamente a Stresa, ristabilito dal grave malessere che lo ha colpito dopo la famigerata cena a Rovereto, in cui ha scoperto di essere stato avvelenato. Gli antichi problemi di stomaco e di fegato, troppo trascurati, si sono riacutizzati. E se fino all’inizio del 1855 la salute gli ha consentito di rispondere alle lettere, governare l’Istituto e persino proseguire la stesura della Teosofia, adesso deve sospendere e mettersi a letto. Brevi e occasionali miglioramenti lo illudono che si tratti di una recrudescenza momentanea, ma a maggio la diagnosi è chiara: «I medici non danno alcuna speranza», comunica laconico il segretario don Francesco Paoli.
La notizia si diffonde rapidissima e comincia un profluvio di lettere. Tutti vogliono notizie, promettono preghiere e suggeriscono rimedi medici e spirituali. Poi iniziano ad arrivare a Stresa gli amici per l’ultimo incontro. Fra i primi c’è don Paolo Orsi, antico amico di famiglia, che da Rovereto giunge per restare fino all’ultimo con lui. Da Torino ecco Pier Alessandro Paravia, altro compagno di gioventù, adesso affermato docente universitario. Con lui è il giovane Ruggero Bonghi, destinato a promettente carriera politica, in passato ospite più volte della comunità religiosa di Stresa: ha trascritto per i posteri le Stresiane, i preziosi dialoghi di cui era stato testimone, fra don Antonio e Alessandro Manzoni.
Anche quest’ultimo piomba di corsa a Stresa, in compagnia del figlio Stefano e di don Alessandro Pestalozza, energico difensore della filosofia rosminiana nel seminario di Milano e maestro, tra gli altri, di Antonio Stoppani. Pestalozza singhiozza di nascosto, mentre vede i due amici abbracciarsi. «Rosmini è sempre Rosmini!», dice don Lisander. «E Manzoni è sempre Manzoni, e lo sarà anche dopo la mia morte», risponde l’infermo. «Speriamo che Dio la voglia ancora conservare tra noi, e darle tempo da condurre a termine tante belle opere, che ha incominciato!», lo incalza lo scrittore. «No, no; le opere che Dio ha incominciato, sarà Lui a compierle con i mezzi che sono nelle sue mani, che sono moltissimi e che noi non conosciamo!» ribatte il filosofo. Arriva anche il Tommaseo, ormai cieco. Prega con fervore il rosario a fianco di Manzoni. «Cerca di essere fedele a Dio e di avere sempre presente il grande affare dell’anima. Se salverai la tua anima, avrai salvato tutto», gli raccomanda Rosmini.
Gli ultimi pensieri di don Antonio sono per l’Istituto della Carità, la congregazione da lui stabilita nel 1828. Chiede carta, pennino e calamaio e di suo pugno verga un foglio con cui nomina il vicario che dovrà governare dopo la sua morte in attesa di eleggere un successore. «Che il precetto del Signore», ossia la carità di Dio e del prossimo, «risplenda sulla terra di quella gloria di cui risplende in cielo», comincia il testo. Dopo un centinaio di opere, è l’ultimo suo scritto autografo.
Quando riceve il Viatico, mezza Stresa è presente, si accalca in corridoio e sulle scale, commossa. Rizzatosi sul letto, il malato recita a chiara voce il Confiteor e si fa leggere ad alta voce dal Paoli la professione di fede. Si sforza di accompagnarla parola per parola a voce sostenuta; poi, non reggendo alla fatica, continua sommesso. Vuole rendere davanti a tutti una nuova e solenne testimonianza del suo attaccamento alla fede cattolica e alla Chiesa, che ha sempre professato con gli scritti, con la predicazione e con le opere, ma che negli ultimi anni è stato messo in dubbio da malevoli avversari.
Vengono i maestri rosminiani a congedarsi. «Vedete, miei cari Figli, come tutto passa, e svanisce… è il tempo del raccolto. Il contadino che ha sudato e faticato, si conforta alla fine per la messe che raccoglie: così è di chi serve Dio e lavora per Lui», li conforta. E li invita: «Sforzatevi di diventare sempre più perfetti e fedeli. Vivete non secondo la carne, ma secondo lo spirito. Io non vi dimenticherò mai». Nel ricevere poi l’estrema unzione, chiede perdono ai confratelli «dei difetti commessi nel suo uffizio; ripete di averli sempre amati come figli; li esorta all’orazione, alla mortificazione… benedice tutto l’Istituto della Carità. La scena è commoventissima: molti piangono a calde lacrime, tutti hanno il dolore e la tenerezza dipinta sul volto», riporta un testimone.
I giorni passano e le condizioni sono sempre più critiche. Per lettera giunge la benedizione apostolica di Pio IX. I vescovi di Novara e di Ivrea, Castelli e Moreno, vengono a benedire e ringraziare Rosmini «per le sante fatiche per noi sostenute». «Ricordatevi di noi quando sarete in paradiso e pregate per me, per la mia diocesi e per tutta la Chiesa!» gli raccomanda mons. Moreno. «Grazie, grazie! Lo farò, lo farò!», mormora il malato, confuso da tante lodi e ormai impacciato nella parola.
È ormai l’ultima ora. Da giorni non può più mangiare né bere; è necessario umettargli le labbra con acqua e aceto. Gli si dà anche il laudano per alleviargli i dolori, anche se, giorni addietro, il malato aveva risposto a chi lo compassionava che «non sono nulla a paragone di ciò che ha patito Gesù per noi». Il 30 giugno l’occhio si vela, il sorriso svanisce, i gemiti si levano più forti, le membra iniziano ad agitarsi. Giunge il deliquio, che sembra mitigarsi durante le preghiere per gli agonizzanti che confratelli e amici mormorano piangendo. Alla una e mezza del 1° luglio, Rosmini si ricompone e in silenzio esala l’anima. È la solennità del Preziosissimo Sangue di Cristo, devozione a lui carissima fin dalla giovinezza. Manzoni si guarda attorno: su uno scaffale è aperta una copia della Commedia di Dante, aperta – quasi presagio - sul Paradiso.
La città di Domodossola si prepara per la Festa della Cella, che celebra il 197° anniversario dell’arrivo del beato Antonio Rosmini al Sacro Monte Calvario, avvenuto il 20 febbraio 1828. Sono dunque in programma diversi eventi, tra il 15 e il 23 febbraio.
Le celebrazioni iniziano sabato 15 febbraio alle 16.00 al collegio Rosmini di Domodossola: l’auditorium “don Bertamini” ospita la conferenza dal titolo “Antonio Rosmini, teologo in ginocchio”, tenuta da monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di teologia. Alle 18.00 poi, in Collegiata la solenne celebrazione eucaristica presieduta dallo stesso monsignor Staglianò. Infine, alle 19.45 una cena al Sacro Monte Calvario.
Si prosegue poi giovedì 20 febbraio nell’auditorium “don Bertamini” del collegio Rosmini per la proiezione dello sceneggiato “In cammino con Antonio Rosmini”, presentato in anteprima nazionale a Rovereto nel mese di gennaio.
Infine, domenica 23 febbraio il tradizionale “Concerto della Cella”, in programma alle 18.00 nella sala Bozzetti del Sacro Monte Calvario: la serata inaugura la stagione 2025 della Cappella Musicale del Calvario.
La città di Domodossola si prepara alla celebrazione della festa della Cella che ricorda l'arrivo del Beato Antonio Rosmini al Sacro Monte Calvario il 20 febbraio del 1828. Il programma, organizzato dal centro di spiritualità dei padri Rosminiani guidato dal rettore don Gianni Picenardi, prevede eventi che dureranno più giorni. Sarà presente per una conferenza e per la messa in Collegiata monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di teologia.
Il primo appuntamento è previsto il 15 febbraio alle 16.00 all’auditorium “Don Bertamini” del collegio Rosmini, con la conferenza di monsignor Staglianò dal titolo “Antonio Rosmini, teologo in ginocchio”. Sarà poi lo stesso monsignor Staglianò a presiedere. sempre il 15 alle 18.00 nella chiesa Collegiata, la messa per il 197 ° anniversario dell'arrivo del Beato Antonio Rosmini.
Giovedì 20 febbraio alle 20.30 all’auditorium don Bertamini si terrà la proiezione dello sceneggiato “In cammino con Antonio Rosmini”, con la regia di Herman Zadra. Interpreti: Gianluca Danieli, Martino Casarotto, Martina Scrinzi, Nicola Marchiori. Una produzione già presentata in prima nazionale a Rovereto lo scorso 10 gennaio.
Infine, il 23 febbraio alle18.00 nella sala Bozzetti del Sacro Monte Calvario si svolgerà il “Concerto della Cella”, che segnerà l'inizio della stagione concertistica della Cappella Musicale del Sacro Monte Calvario.
Ossola News

"Vieni servo buono e fedele..."