In vacanza nei luoghi che alimentano attività benefiche: per la ripartenza del turismo l'Ospitalità Religiosa lancia la Vacanza Etica

 Anche se il turismo sembra in queste settimane l'ultima delle priorità, verranno giorni migliori, in cui si tornerà a sognare viaggi e vacanze. In Italia c’è un settore dell’ospitalità già pronto alla ripartenza con una proposta che raddoppia il valore di una meritata vacanza: la Vacanza Etica.

L’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, con il patrocinio dell’ufficio nazionale CEI per la Pastorale del Turismo, ha selezionato settanta strutture ricettive no-profit cui introiti alimentano direttamente una serie di attività benefiche: caritatevoli, assistenziali, sociali, missionarie e naturalistiche. Delle vere e proprie “fabbriche del bene”, dove fare il semplice turista si traduce automaticamente in un aiuto agli Ultimi, ai disagiati, a chi vive nelle difficoltà o magari si prende cura della natura ferita.

Una riscoperta del valore etico di una vacanza, se un’esperienza drammatica come la pandemia ci ha insegnato a dare un peso diverso alle nostre scelte. Le possibilità sono tante e adatte ad ogni esigenza: dalle Alpi agli Appennini, dalla costa ligure a quella romagnola, dalla Sardegna al Salento, fino in Sicilia. Sul portale dell'ospitalità religiosa, è già possibile contattare, direttamente e senza intermediazione, i gestori per avere informazioni sia sugli alloggi che sulle attività benefiche.

repubblica.it



Calvario. Monte sacro di Domodossola. Ediz. illustrata (Italiano) Copertina rigida

 



Libro: L’idea del divino? L’umanità non può farne a meno

 
MASSIMO GIULIANI Avvenire

Non c’è niente di meno religioso di Dio, come mostra la storia della sua idea. È un’idea copernicana, ci spiega lo studioso e artista ebreo Stefano Levi Della Torre: da sempre fa girare l’umanità attorno a Dio e non viceversa, a dispetto del fatto che ogni epoca, e ogni religione, pretendono di averne miglior conoscenza di altre epoche e di altre fedi. Ed è un’idea paradossale, proprio perché viene rivendicata da chi ci crede, per abbracciarla, e da chi non ci crede, per rifiutarla. In un breve ma denso libro che porta il titolo, nudo e crudo, Dio (appena uscito da Bollati Boringhieri, pagine 160, euro 12,00), Levi Della Torre getta un vertiginoso sguardo sintetico, e laico, sul lungo percorso della cultura occidentale nell’idea del divino, senza la quale semplicemente la nostra cultura non esisterebbe. E forse solo uno sguardo laico poteva tentare di scrutare un’idea così emotivamente carica, muovendo non “dal punto di vista di Dio” – attizzando gli scontri delle ermeneutiche religiose e teologiche – ma “dal punto di vista storico”, della storia del pensiero, dell’arte, della scienza, della politica.

Non v’è ambito umano nel quale l’idea di Dio non abbia giocato un ruolo centrale, una funzione, una pressione, uno stimolo, un ostacolo, un’ispirazione. Sebbene Dio non stia in nessuna delle idee che di lui ci facciamo, nel complesso esse costituiscono un sistema copernicano che ci “decentra” continuamente, obbligandoci ad andare, ogni volta, un po’ più in là, oltre ogni categoria, sempre altrove.

Come dice il racconto biblico su Elia, Dio non era nel terremoto, non nel fuoco, non nel vento, ma in una sottile voce di silenzio. La fiction rabbinica ha trovato un modo originale per esprimere questa strana, impossibile ubicazione del divino, lo ha chiamato semplicemente haMaqom, il Luogo.

Condizione di tutto, non è in nessuna parte; è l’idea dell’insieme che prevale sui dettagli, insiste Levi Della Torre in forza della sua esperienza di pittore e architetto (un tutto che regge anche quando i particolari difettano); è la forma di pensiero che contiene e spiega ogni altro pensiero, e l’essere e il nulla; di essa hanno bisogno i dotti non meno che gli ignoranti, seppure per ragioni e in modi diversi. Non è questo un libro che cerchi la provocazione. Piuttosto, è la reazione alla più provocatoria delle idee dell’umanità, come un nodo che tenga avvinte tutte le questioni. La lista di chi se ne è occupato coincide con il fior fiore dei filosofi e degli scienziali, dei poeti e degli artisti. In cima alla lista Levi Della Torre pone l’amato Dante, naturalmente, che è a un tempo teologo e poeta, seguito da Platone e Leopardi, Montale e Qohelet, Primo Levi e Giobbe, Pascal e Ovidio... certo una lista che ha ben poco senso, poiché nessuno che davvero “pensi” può fare a meno dell’idea di Dio. Ma queste riflessioni sul divino non mirano a essere un moderno bignami, sono soprattutto pensieri sul presente, che tentano di dire “dove siamo” in quest’epoca di veloci cambiamenti (a tutti i livelli) e di profonde innovazioni (ovvie, quelle tecnologiche). Quasi che l’idea di Dio fosse una cartina di tornasole per valutare i precipitati antropologici cui stiamo assistendo, un po’ da attori e un po’ da spettatori. Siamo usciti da un’epoca di proporzionalità, afferma l’intellettuale milanese, in cui si poteva ancora misurare il rapporto tra cause ed effetti, e siamo entrati in pochi decenni in un’epoca di sproporzioni, nella quale ogni misurazione è saltata, facendoci perdere certezza o garanzia che la storia sia sotto il controllo delle nostre capacità razionali. Siamo, forse di nuovo, in un’età di incertezze e di imponderabili, «l’età – scrive Levi Della Torre – in cui il minuscolo atomo ha prodotto la devastazione più grande». Per commentarla ecco il geniale sommo poeta: “Poca favilla gran fiamma seconda” (Paradiso 1,34). In siffatto scenario come può sorprendere che l’idea di Dio sia più attuale e più necessaria di prima? Se essa esprime e catalizza e metabolizza, al contempo, ogni istanza di razionalità e di irrazionalità, più che mai essa sarà evocata e invocata in questo frangente storico, sarà ripresa e rilanciata, sarà usata e forse ri– abusata (come in passato). Non aveva profetizzato Martin Heidegger che “ormai, solo un dio ci può salvare”? Non era, quello heideggeriano, un dio con la D maiuscola. Era solo una forma retorica, che faceva l’occhiolino agli dèi della Grecia, allontanatisi nel frattempo dalla cucina di Eraclito per aleggiare sul Führer del Terzo Regno germanico e il suo grottesco

Gott mit uns. Ma poco importa, l’uso dell’idea divina non è vietabile a nessuno, neppure ai criminali, individui o sistemi politici che siano.

Ma conoscere evoluzione, fortuna e sfortuna di quest’idea, ciò di cui non sapremmo pensarne una maggiore, come spiega la famosa prova ontologica di Anselmo d’Aosta, può oggi esserci di aiuto: è l’umanità che misura se stessa su quest’idea, è il bene che si autotutela dietro ad essa, ma è anche il nostro senso cririco e la nostra capacità di resistenza al male che ne escono rafforzati. L’idea più laica, l’idea più universale. More hebraico monstrata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Copyright © Avvenire

Nuovo libro: "La scuola italiana di spiritualità. Da Rosmini a Montini"

Tra la data di nascita del beato Antonio Rosmini (1797) e la data di morte del santo pontefice Paolo VI (1978) intercorrono poco meno di duecento anni. Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazione presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, è convinto che nel corso di questi due secoli sia possibile rinvenire una linea che permette a buon diritto di individuare, come indica il titolo di un suo ponderoso volume, La scuola italiana di spiritualità. Da Rosmini a Montini (Morcelliana, pagine 726, euro 35,00). Nei vari capitoli del libro l’autore presenta le componenti fondamentali di tale scuola, innanzitutto identificando in Rosmini l’origine feconda di essa e in Montini la matura conclusione, e cogliendo appieno l’importanza del ruolo di raccordo esercitato in tale contesto dal cardinale Giulio Bevilacqua (1881–1965). Pagine particolarmente illuminanti sono dedicate agli apporti recati dalla spiritualità francescano– cappuccina e da quella filippina. Questa ricostruzione viene condotta anche attraverso la descrizione di varie figure ec- clesiali, la cui importanza non sempre è stata adeguatamente riconosciuta e valutata. De Giorgi individua nel giusto mezzo rosminiano la cifra caratteristica della scuola italiana di spiritualità: «Il Roveretano – egli scrive – infatti rifiutava gli estremismi religiosi: rifiutava cioè, da una parte, il giansenismo ribelle … ma rifiutava anche, dall’altra, certo razionalismo gesuitico ottocentesco ». Il grande pensatore di Rovereto non poteva approvare il pessimismo antropologico insito nella lezione di Giansenio, «ma non poteva neppure accettare l’opposta, anzi, contrapposta posizione di coloro che per difendere la libertà umana, la esaltavano a tal punto da negare ogni guasto della volontà dell’uomo». De Giorgi sottolinea alcuni tratti peculiari del rosminianesimo che, come egli afferma, si ritroveranno lungo tutto il percorso che condurrà il lettore sino alla seconda metà del Novecento. «Le caratteristiche fondamentali della spiritualità rosminiana – si legge nel testo – sono la semplicità della preghiera, un’umiltà radicale, l’importanza attribuita alla Parola di Dio, all’esegesi patristica e alla vita liturgica, un’ecclesiologia di comunione e di libertà, la necessaria presenza della prospettiva escatologica». A queste componenti della spiritualità del beato Rosmini, De Giorgi affianca tre grandi realtà che le sintetizzano e le esprimono appieno: la bellezza, che informò e permeò tutta l’esperienza religiosa del Roveretano; la centralità del cuore, che l’amore divino rinnova completamente; infine, il primato di quella carità che, non casualmente, dà il nome all’Istituto fondato da Rosmini.


È questo, secondo De Giorgi, il terreno fecondo su cui germogliò, si nutrì e crebbe la scuola italiana di spiritualità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Fulvio De Giorgi ricostruisce una linea peculiare che dal beato roveretano risale fino a papa Paolo VI, condotta sul “giusto mezzo” tra opposti estremismi e radicata nell’eredità cappuccina e oratoriana

Domodossola: lavori riqualificazione collegamento tra Borgo della Cultura e Calvario

Sabato scorso il taglio del nastro e la benedizione da parte del parroco Don Vincenzo Barone: inaugurata la nuova via Galletti a Domodossola con la presenza del sindaco Lucio Pizzi e di tutta la giunta. Una zona che ha subito un completo restyling, soddisfazione da parte degli esercenti, alcuni erano presenti alla cerimonia. Investimento di circa 850 mila euro. I prossimi lavori di riqualificazione nel capoluogo ossolano: a novembre cantiere in piazza ex Carceri e su una porzione di piazza Matteotti, poi intervento in via Rosmini nel mese di febbraio nell’ambito del collegamento tra Borgo della Cultura e Calvario. A fine primavera la ristrutturazione del teatro Galletti e infine la sistemazione di via Marconi e via Binda.
vcoazzurratv

L’ospitalità religiosa per contrastare la pandemia

 di: Francesca Giani

«I dati dell’ospitalità religiosa in Italia fanno riferimento a circa 4.000 strutture che mettono a disposizione 287.000 posti letto per turismo, spiritualità e molte altre tipologie di soggiorno temporaneo. Si tratta in gran parte di case per ferie e religiose, istituti e case di preghiera, ostelli, conventi, monasteri, foresterie e studentati (…). L’introito potenziale annuo (…) è stimato in 1,8 miliardi di euro. L’attuale blocco costa al settore circa 5 milioni di euro al giorno». Queste le parole del documento realizzato dall’ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della CEI in collaborazione con altri enti cattolici dal titolo #ospitiamoabracciaaperte: Anche la resistenza è vocazione Covid-19, crisi e prospettive dell’ospitalità religiosa.

La pandemia ha colpito gravemente le attività ricettive extralberghiere molto diffuse in ambito ecclesiale. In particolare risultano sofferenti le case per ferie. Normate a partire dal giubileo del 1975, confortate da finanziamenti in occasione del grande giubileo del 2000, erano già in difficoltà economica negli anni precedenti la pandemia, sia a causa dell’ingresso dei B&B sul mercato (con cui condividono buona parte dei clienti), sia a motivo della specializzazione della gestione (norme, incombenze e mercato che necessita sempre di maggiore competenza e specializzazione). Non di rado per un ente ecclesiastico erano già una voce di bilancio in passivo, che nel periodo Covid è diventata perdita insostenibile.

Per le religioni abramitiche l’ospitalità dei fratelli offre alla donna e all’uomo la possibilità di accogliere Dio stesso. Uno dei riferimenti principali è narrato nel primo libro della Bibbia (Gen 18) in cui si racconta dell’incontro tra Abramo e tre angeli alla quercia di Mamre (Fig. 1), evento compreso dai cristiani come l’accoglienza stessa della Trinità.

Gesù conferma ciò dicendo che accogliendo persone bisognose si riceve lui stesso: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-43). La Regola di san Benedetto ripete tale concetto: «Tutti gli ospiti che arrivano siano accolti come Cristo, poiché sarà Lui stesso a dire: “sono stato ospite e mi avete accolto”. E a tutti sia reso l’onore dovuto, “soprattutto ai compagni di fede” e ai pellegrini».

È quindi chiara la motivazione che spinge i religiosi nell’impegno per l’ospitalità: servire quella cifra divina condivisibile nella vita degli uomini.

A motivo della pandemia, le case per ferie hanno sospeso la loro attività ricettiva e sono invitate dal già citato documento CEI a vivere una parola che «potrebbe sintetizzare la missione a cui sono chiamate queste realtà oggi: resistenza». Di fronte a questa richiesta mi sembra opportuno riflettere sulle necessità e le opportunità che la pandemia offre al mondo dell’accoglienza religiosa e quale potrebbe essere il modo più evangelico di vivere tale resistenza.

«Le parole ospedale, ospizio hospice un tempo condividevano lo stesso significato di alloggio o ricovero temporaneo per forestieri» (dal blog Terminologia etc.). Sant’Ignazio di Loyola, giunto a Roma nel 1523 per richiedere a papa Adriano V le credenziali per il viaggio a Gerusalemme, abitò presso l’ospedale di San Giacomo degli Spagnoli[5] «poiché, oltre a servire da ospedale per gli infermi della colonia spagnola a Roma, aveva anche 22 camere per i pellegrini spagnoli poveri». Presso l’ospedale degli spagnoli, ma così anche negli altri luoghi di accoglienza dei viandanti, erano ospitati sia i pellegrini sia i malati. La pandemia ha creato nuove necessità abitative che suggeriscono di impiegare gli spazi per i pellegrini a scopo sanitario, come accadeva ai tempi di sant’Ignazio.

È di venerdì 30 ottobre 2020 l’articolo apparso sul Corriere della sera di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini intitolato “Le dieci cose da fare subito” una delle quali è il Covid hotel del quale scrivono: «Se ne parla da mesi, ma ancora è un miraggio la ricerca di hotel o appartamenti per consentire a tante famiglie che non hanno spazi adeguati di isolare i positivi durante il periodo di quarantena. (…) Bisogna siglare i contratti, proprio come si è fatto per sistemare gli sfollati dopo i terremoti».

Oggi in Italia mancano alberghi sanitari, spazi in cui dare ospitalità protetta a persone che hanno bisogni indotti dalla pandemia. Sappiamo bene che una delle poche armi presenti contro il virus è quella del distanziamento: il virus se non incontra altri esseri umani non si propaga. Questo è il motivo per cui chi ne è colpito deve essere isolato e attendere che il virus faccia il suo decorso finché non smette di essere contagioso.

È però difficile isolarsi se la propria abitazione è condivisa con altri e non ha le caratteristiche opportune (bagno esclusivo, numero delle stanze adeguate). E, come sempre, i più poveri sono esposti maggiormente ai rischi, e quindi più colpiti (chi ha la casa condivisa con altri nuclei familiari, chi ha un solo bagno, chi non ha la possibilità di isolarsi).

Abbiamo rilevato tre tipi di esigenze abitative indotte dalla pandemia a cui anche le case per ferie potrebbero dare risposta:

  1. uso abitativo: la pandemia richiede nuove sistemazioni di alloggio per:
  • Personale di supporto medico e paramedico;
  • Militari e altre categorie che alloggiavano in camerate;
  • Persone con difficoltà nei nuclei familiari;
  • Persone senza fissa dimora.
  1. uso quarantena preventiva: Luogo di residenza per persone con la necessità di avere un periodo di isolamento fiduciario;
  • persone che hanno necessità di allontanarsi dalla famiglia nel periodo di quarantena preventiva;
  1. uso quarantena:
  • persone positive al virus Covid-19 e paucisintomatici o asintomatiche;
  • pazienti guariti clinicamente ma non virologicamente;
  • persone sintomatiche in attesa di fare il tampone.

Alcuni religiosi hanno già aderito alle richieste ricevute per trasformare la propria casa per ferie in albergo sanitario. A livello strutturale e normativo non c’è bisogno di alcuna modifica. Alla proprietà è offerto un contratto di locazione onerosa per trasformare temporaneamente l’immobile da casa per ferie in albergo sanitario.

La gestione della struttura solitamente è affidata a terzi. Per garantire l’opportuna sicurezza è necessario che gli ingressi e i percorsi siano totalmente separati da quelli di una comunità limitrofa o da altre opere.

«Secondo papa Francesco “capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della Chiesa”e ha indicato il periodo della pandemia da Covid 19 come un “tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci”».

«Lo sforzo per non disperdere l’eredità di chi ci ha preceduto e ha voluto le attività di ospitalità» richiesto dal documento CEI troverebbe un giusto compimento nel mettere a disposizione di chi è colpito dalla pandemia i beni della Chiesa in sinergia con il sistema sanitario nazionale o con altri enti che si occupano di assistenza.

Ne sono esempio le Suore di nostra signora del cenacolo che hanno locato il centro pellegrini di Roma divenuto temporaneamente struttura per ospitalità protetta per l’accoglienza di pazienti Covid positivi asintomatici, non critici, in via di guarigione (Figura 2).

La Fondazione Summa Humanitate ha ricevuto da parte di un ente del vicariato di Roma la richiesta di trovare in locazione una casa per ferie con 90 camere singole per ospitare dei senza fissa dimora colpiti da Covid-19.

Stiamo cercando di dare una risposta concreta e rapida. Invito chi fosse nella possibilità di accogliere tale richiesta a scrivere a fgiani@fondazionehumanitate.it. Potrebbe essere anche l’occasione per affinare il protocollo di intervento messo a punto dalla fondazione per trasformare una casa per ferie in albergo sanitario. Alla stessa email si potranno inviare le segnalazioni delle case per ferie già divenute temporaneamente alberghi sanitari, così da stilare un’anagrafe delle stesse che sarà condivisa con Caritas italiana.

I santi che sono all’origine degli istituti religiosi hanno risposto con generosità ai segni del tempo in cui hanno vissuto (ricordo san Luigi Gonzaga che, assistendo un malato di peste, fu poi vittima di quella malattia). Perché non offrire (a pagamento) le proprie strutture per accogliere gli appestati di oggi?

Settimana News