Tra la data di nascita del beato Antonio Rosmini (1797) e la data di morte del santo pontefice Paolo VI (1978) intercorrono poco meno di duecento anni. Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazione presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, è convinto che nel corso di questi due secoli sia possibile rinvenire una linea che permette a buon diritto di individuare, come indica il titolo di un suo ponderoso volume, La scuola italiana di spiritualità. Da Rosmini a Montini (Morcelliana, pagine 726, euro 35,00). Nei vari capitoli del libro l’autore presenta le componenti fondamentali di tale scuola, innanzitutto identificando in Rosmini l’origine feconda di essa e in Montini la matura conclusione, e cogliendo appieno l’importanza del ruolo di raccordo esercitato in tale contesto dal cardinale Giulio Bevilacqua (1881–1965). Pagine particolarmente illuminanti sono dedicate agli apporti recati dalla spiritualità francescano– cappuccina e da quella filippina. Questa ricostruzione viene condotta anche attraverso la descrizione di varie figure ec- clesiali, la cui importanza non sempre è stata adeguatamente riconosciuta e valutata. De Giorgi individua nel giusto mezzo rosminiano la cifra caratteristica della scuola italiana di spiritualità: «Il Roveretano – egli scrive – infatti rifiutava gli estremismi religiosi: rifiutava cioè, da una parte, il giansenismo ribelle … ma rifiutava anche, dall’altra, certo razionalismo gesuitico ottocentesco ». Il grande pensatore di Rovereto non poteva approvare il pessimismo antropologico insito nella lezione di Giansenio, «ma non poteva neppure accettare l’opposta, anzi, contrapposta posizione di coloro che per difendere la libertà umana, la esaltavano a tal punto da negare ogni guasto della volontà dell’uomo». De Giorgi sottolinea alcuni tratti peculiari del rosminianesimo che, come egli afferma, si ritroveranno lungo tutto il percorso che condurrà il lettore sino alla seconda metà del Novecento. «Le caratteristiche fondamentali della spiritualità rosminiana – si legge nel testo – sono la semplicità della preghiera, un’umiltà radicale, l’importanza attribuita alla Parola di Dio, all’esegesi patristica e alla vita liturgica, un’ecclesiologia di comunione e di libertà, la necessaria presenza della prospettiva escatologica». A queste componenti della spiritualità del beato Rosmini, De Giorgi affianca tre grandi realtà che le sintetizzano e le esprimono appieno: la bellezza, che informò e permeò tutta l’esperienza religiosa del Roveretano; la centralità del cuore, che l’amore divino rinnova completamente; infine, il primato di quella carità che, non casualmente, dà il nome all’Istituto fondato da Rosmini.
È questo, secondo De Giorgi, il terreno fecondo su cui germogliò, si nutrì e crebbe la scuola italiana di spiritualità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fulvio De Giorgi ricostruisce una linea peculiare che dal beato roveretano risale fino a papa Paolo VI, condotta sul “giusto mezzo” tra opposti estremismi e radicata nell’eredità cappuccina e oratoriana