- Home page
- Contatti
- Come arrivare
- Offerta di ospitalità
- Interni
- Camere
- Video
- Cappelle e luoghi di preghiera
- Immagini
- Servizi di ristorazione
- Giardini
- Meeting
- Comunità
- Date apertura
- Hospitality Rosminiana
- Hospitalidad Rosminiana
- Hospitalité rosminienne
- Rosminian Gastfreundschaft
- Hospitalidade rosminiana
- Antonio Rosmini Pensatore e Profeta
- Turismo Culturale Viaggi News
- S. Messe
- Parrocchia S. Cuore e S. Quirico
Papa Luciani: il nuovo beato nella biografia di Preziosi In libreria "Il sorriso del Papa", sul Pontefice dei 33 giorni
Intervista. Alex Cittadella: «Nel cielo delle Alpi la verità dell'uomo»
Lo scrittore Alex Cittadella
«Un mondo affascinante e fantastico», quello delle Alpi, osservato con l’occhio indagatore dello storico ma anche con lo sguardo incantato di un bambino: sin dall’infanzia Alex Cittadella, 42 anni, docente nelle scuole superiori e dottore di ricerca in Storia moderna al Dipartimento di studi umanistici e del patrimonio all’Università di Udine, ha iniziato ad amare le montagne grazie alla madre friulana e al papà bellunese. «Le Alpi in particolare, e la natura in generale, sono sempre state una passione nutrita dal legame affettivo, ma anche estetico: faccio camminate in tutte le stagioni, anche se prediligo quelle meno turistiche. E poi sono lo sfondo che vedo ogni giorno dalle finestre, un punto di riferimento costante», racconta Cittadella nella sua casa a Pasian di Prato, in provincia di Udine. Da pochi giorni è in libreria con Il cielo delle Alpi. Da Ötzi a Reinhold Messner, edito da Laterza in collaborazione con il Cai (Club alpino italiano), che definisce «un’intensa camminata lungo il tempo e lo spazio per immergersi nel clima alpino attraverso lo sguardo di alcuni affascinanti personaggi storici». Infatti l’autore racconta come protagonisti del passato e del presente abbiano convissuto con le trasformazioni dell’arco montuoso. E lo fa scegliendo di assumere in alcuni capitoli la prima persona, tanto che le tappe percorse so- migliano a scalate interiori colme di empatia.
Perché questa scelta stilistica?
Una sfida d’immedesimazione che può piacere o no, insolita anche per l’editore, con l’obiettivo di avvicinare questi personaggi ai lettori, di sentirli più contemporanei, facendo capire il loro modo di costruire e di approcciarsi alla natura, che si ricostruisce dai reperti ritrovati. Quando ho cominciato a scrivere, mi è venuto di raccontare dall’interno Ötzi (vissuto nel Neolitico oltre 5.300 anni fa e ritrovato mummificato nel ’91 nella Val Senales, ndr), ma anche il condottiero cartaginese Annibale che valicò le Alpi nel 218 a.C. e il popolo dei Walser che ancora vive a 2 mila metri sul Monte Rosa. Entrando nelle loro epoche, volevo esprimere la soggettività del loro vissuto nel percepire la natura esterna, il loro rapporto intimo e più genuino con l’ambiente circostante, nella loro veste di testimoni diretti di un mondo prezioso, enigmatico e affascinante. Sotto quel cielo delle Alpi che, per chiunque percorra la nostra più elevata catena montuosa in auto, in bicicletta o a piedi, lungo il fondovalle, sui costoni o sulle cime, appare come una finestra sull’infinito, uno sguardo sull’eternità.
Ha scelto di indagare anche le Alpi di scrittori come Mario Rigoni Stern e Pierluigi Cappello, di esploratori come Walter Bonatti e Reinhold Messner, di artisti come Leonardo da Vinci.
Le Alpi sono al centro della riflessione pittorica di Leonardo: con lui si apre un percorso nuovo di attenzione e osservazione del clima alpino dal punto di vista naturalistico e artistico. Gli faranno da successori de Saussure con il suo approccio radicalmente scientifico e William Turner, che si innamorerà così profondamente dei paesaggi e del clima da trascorrere diversi soggiorni di studio sulle Alpi, producendo centinaia di disegni, acquerelli e opere artistiche in un periodo segnato dalle imprese di Napoleone Bonaparte. Giovanni Segantini, con la sua resa della luce e dei colori dell’Engadina e dei Grigioni, è autore di alcuni fra i dipinti di alta montagna più innovativi e rilevanti della storia dell’arte. Fino all’amore di Rigoni Stern per l’Altipiano di Asiago e ai versi di Pierluigi Cappello, capaci di esprimere l’interiorità più profonda del cielo sopra le Alpi Carniche. Gli alpinisti Bonatti e Messner hanno levato un grido intenso e accorato in difesa dell’ambiente primigenio della maestosa catena, mantenendo sempre un atteggiamento di assoluto rispetto nei suoi confronti.
Di recente la tragedia della Marmolada ci ha messo davanti agli effetti drammatici del riscaldamento globale: questa presa di coscienza c’è stata anche in passato per altri disastri ambientali? Pecchiamo di scarsa lungimiranza?
Gli ultimi 150 anni hanno determinato una svolta epocale nella storia climatica della Terra: l’azione dell’uomo sta determinando il più repentino e profondo mutamento climatico che il nostro pianeta abbia conosciuto da centinaia di migliaia di anni. Rispetto ai cambiamenti precedenti, ora il ruolo dell’uomo è assolutamente accertato e determinante. In passato, invece, le persone guardavano alle vette con una reverenza quasi sacrale, avevano un rapporto rispettoso e diretto con l’ambiente anche quando i ghiacciai avanzavano distruggendo pascoli e paesi: si sentivano parte di quell’ambiente e capivano che se lo avessero utilizzato male avrebbero avuto delle conseguenze negative. Sapevano di dover mantenere alti pascoli e boschi in determinate condizioni perché le generazioni successive potessero utilizzarli. Nell’epoca contemporanea concretamente si fa poco, nonostante i dati siano devastanti, come i climatologi ci ricordano da 40-50 anni. Eppure sfruttiamo il territorio per un profitto immediato, senza ragionare a livello comunitario. Spero molto che a partire dalle scuole si incida sulle nuove generazioni, più sensibili nei confronti dell’ambiente.
Avvenire
Libro: L’idea del divino? L’umanità non può farne a meno
Non c’è niente di meno religioso di Dio, come mostra la storia della sua idea. È un’idea copernicana, ci spiega lo studioso e artista ebreo Stefano Levi Della Torre: da sempre fa girare l’umanità attorno a Dio e non viceversa, a dispetto del fatto che ogni epoca, e ogni religione, pretendono di averne miglior conoscenza di altre epoche e di altre fedi. Ed è un’idea paradossale, proprio perché viene rivendicata da chi ci crede, per abbracciarla, e da chi non ci crede, per rifiutarla. In un breve ma denso libro che porta il titolo, nudo e crudo, Dio (appena uscito da Bollati Boringhieri, pagine 160, euro 12,00), Levi Della Torre getta un vertiginoso sguardo sintetico, e laico, sul lungo percorso della cultura occidentale nell’idea del divino, senza la quale semplicemente la nostra cultura non esisterebbe. E forse solo uno sguardo laico poteva tentare di scrutare un’idea così emotivamente carica, muovendo non “dal punto di vista di Dio” – attizzando gli scontri delle ermeneutiche religiose e teologiche – ma “dal punto di vista storico”, della storia del pensiero, dell’arte, della scienza, della politica.
Non v’è ambito umano nel quale l’idea di Dio non abbia giocato un ruolo centrale, una funzione, una pressione, uno stimolo, un ostacolo, un’ispirazione. Sebbene Dio non stia in nessuna delle idee che di lui ci facciamo, nel complesso esse costituiscono un sistema copernicano che ci “decentra” continuamente, obbligandoci ad andare, ogni volta, un po’ più in là, oltre ogni categoria, sempre altrove.
Come dice il racconto biblico su Elia, Dio non era nel terremoto, non nel fuoco, non nel vento, ma in una sottile voce di silenzio. La fiction rabbinica ha trovato un modo originale per esprimere questa strana, impossibile ubicazione del divino, lo ha chiamato semplicemente haMaqom, il Luogo.
Condizione di tutto, non è in nessuna parte; è l’idea dell’insieme che prevale sui dettagli, insiste Levi Della Torre in forza della sua esperienza di pittore e architetto (un tutto che regge anche quando i particolari difettano); è la forma di pensiero che contiene e spiega ogni altro pensiero, e l’essere e il nulla; di essa hanno bisogno i dotti non meno che gli ignoranti, seppure per ragioni e in modi diversi. Non è questo un libro che cerchi la provocazione. Piuttosto, è la reazione alla più provocatoria delle idee dell’umanità, come un nodo che tenga avvinte tutte le questioni. La lista di chi se ne è occupato coincide con il fior fiore dei filosofi e degli scienziali, dei poeti e degli artisti. In cima alla lista Levi Della Torre pone l’amato Dante, naturalmente, che è a un tempo teologo e poeta, seguito da Platone e Leopardi, Montale e Qohelet, Primo Levi e Giobbe, Pascal e Ovidio... certo una lista che ha ben poco senso, poiché nessuno che davvero “pensi” può fare a meno dell’idea di Dio. Ma queste riflessioni sul divino non mirano a essere un moderno bignami, sono soprattutto pensieri sul presente, che tentano di dire “dove siamo” in quest’epoca di veloci cambiamenti (a tutti i livelli) e di profonde innovazioni (ovvie, quelle tecnologiche). Quasi che l’idea di Dio fosse una cartina di tornasole per valutare i precipitati antropologici cui stiamo assistendo, un po’ da attori e un po’ da spettatori. Siamo usciti da un’epoca di proporzionalità, afferma l’intellettuale milanese, in cui si poteva ancora misurare il rapporto tra cause ed effetti, e siamo entrati in pochi decenni in un’epoca di sproporzioni, nella quale ogni misurazione è saltata, facendoci perdere certezza o garanzia che la storia sia sotto il controllo delle nostre capacità razionali. Siamo, forse di nuovo, in un’età di incertezze e di imponderabili, «l’età – scrive Levi Della Torre – in cui il minuscolo atomo ha prodotto la devastazione più grande». Per commentarla ecco il geniale sommo poeta: “Poca favilla gran fiamma seconda” (Paradiso 1,34). In siffatto scenario come può sorprendere che l’idea di Dio sia più attuale e più necessaria di prima? Se essa esprime e catalizza e metabolizza, al contempo, ogni istanza di razionalità e di irrazionalità, più che mai essa sarà evocata e invocata in questo frangente storico, sarà ripresa e rilanciata, sarà usata e forse ri– abusata (come in passato). Non aveva profetizzato Martin Heidegger che “ormai, solo un dio ci può salvare”? Non era, quello heideggeriano, un dio con la D maiuscola. Era solo una forma retorica, che faceva l’occhiolino agli dèi della Grecia, allontanatisi nel frattempo dalla cucina di Eraclito per aleggiare sul Führer del Terzo Regno germanico e il suo grottesco
Gott mit uns. Ma poco importa, l’uso dell’idea divina non è vietabile a nessuno, neppure ai criminali, individui o sistemi politici che siano.
Ma conoscere evoluzione, fortuna e sfortuna di quest’idea, ciò di cui non sapremmo pensarne una maggiore, come spiega la famosa prova ontologica di Anselmo d’Aosta, può oggi esserci di aiuto: è l’umanità che misura se stessa su quest’idea, è il bene che si autotutela dietro ad essa, ma è anche il nostro senso cririco e la nostra capacità di resistenza al male che ne escono rafforzati. L’idea più laica, l’idea più universale. More hebraico monstrata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Copyright © Avvenire
Nuovo libro: "La scuola italiana di spiritualità. Da Rosmini a Montini"
Tra la data di nascita del beato Antonio Rosmini (1797) e la data di morte del santo pontefice Paolo VI (1978) intercorrono poco meno di duecento anni. Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazione presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, è convinto che nel corso di questi due secoli sia possibile rinvenire una linea che permette a buon diritto di individuare, come indica il titolo di un suo ponderoso volume, La scuola italiana di spiritualità. Da Rosmini a Montini (Morcelliana, pagine 726, euro 35,00). Nei vari capitoli del libro l’autore presenta le componenti fondamentali di tale scuola, innanzitutto identificando in Rosmini l’origine feconda di essa e in Montini la matura conclusione, e cogliendo appieno l’importanza del ruolo di raccordo esercitato in tale contesto dal cardinale Giulio Bevilacqua (1881–1965). Pagine particolarmente illuminanti sono dedicate agli apporti recati dalla spiritualità francescano– cappuccina e da quella filippina. Questa ricostruzione viene condotta anche attraverso la descrizione di varie figure ec- clesiali, la cui importanza non sempre è stata adeguatamente riconosciuta e valutata. De Giorgi individua nel giusto mezzo rosminiano la cifra caratteristica della scuola italiana di spiritualità: «Il Roveretano – egli scrive – infatti rifiutava gli estremismi religiosi: rifiutava cioè, da una parte, il giansenismo ribelle … ma rifiutava anche, dall’altra, certo razionalismo gesuitico ottocentesco ». Il grande pensatore di Rovereto non poteva approvare il pessimismo antropologico insito nella lezione di Giansenio, «ma non poteva neppure accettare l’opposta, anzi, contrapposta posizione di coloro che per difendere la libertà umana, la esaltavano a tal punto da negare ogni guasto della volontà dell’uomo». De Giorgi sottolinea alcuni tratti peculiari del rosminianesimo che, come egli afferma, si ritroveranno lungo tutto il percorso che condurrà il lettore sino alla seconda metà del Novecento. «Le caratteristiche fondamentali della spiritualità rosminiana – si legge nel testo – sono la semplicità della preghiera, un’umiltà radicale, l’importanza attribuita alla Parola di Dio, all’esegesi patristica e alla vita liturgica, un’ecclesiologia di comunione e di libertà, la necessaria presenza della prospettiva escatologica». A queste componenti della spiritualità del beato Rosmini, De Giorgi affianca tre grandi realtà che le sintetizzano e le esprimono appieno: la bellezza, che informò e permeò tutta l’esperienza religiosa del Roveretano; la centralità del cuore, che l’amore divino rinnova completamente; infine, il primato di quella carità che, non casualmente, dà il nome all’Istituto fondato da Rosmini.
È questo, secondo De Giorgi, il terreno fecondo su cui germogliò, si nutrì e crebbe la scuola italiana di spiritualità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fulvio De Giorgi ricostruisce una linea peculiare che dal beato roveretano risale fino a papa Paolo VI, condotta sul “giusto mezzo” tra opposti estremismi e radicata nell’eredità cappuccina e oratoriana
Un libro sul patrimonio Unesco dei Sacri Monti presentato in Vaticano
I santuari della diocesi di Novara
Alla scoperta dei luoghi di fede, di devozione e di arte.Guida storico/artistica che presenta i più dei cento santuari e Sacri Monti presenti nel vasto territorio della diocesi di Novara che si estende dalla pianura fino a raggiungere il Monte Rosa, comprendendo i laghi Maggiore, d’Orta e di Mergozzo. Prefazione di mons. Franco Giulio Brambilla.È possibile acquistare il libro direttamente a santuari.novara@gmail.com o richiedendolo presso qualsiasi libreria.