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Libro: L’idea del divino? L’umanità non può farne a meno

 
MASSIMO GIULIANI Avvenire

Non c’è niente di meno religioso di Dio, come mostra la storia della sua idea. È un’idea copernicana, ci spiega lo studioso e artista ebreo Stefano Levi Della Torre: da sempre fa girare l’umanità attorno a Dio e non viceversa, a dispetto del fatto che ogni epoca, e ogni religione, pretendono di averne miglior conoscenza di altre epoche e di altre fedi. Ed è un’idea paradossale, proprio perché viene rivendicata da chi ci crede, per abbracciarla, e da chi non ci crede, per rifiutarla. In un breve ma denso libro che porta il titolo, nudo e crudo, Dio (appena uscito da Bollati Boringhieri, pagine 160, euro 12,00), Levi Della Torre getta un vertiginoso sguardo sintetico, e laico, sul lungo percorso della cultura occidentale nell’idea del divino, senza la quale semplicemente la nostra cultura non esisterebbe. E forse solo uno sguardo laico poteva tentare di scrutare un’idea così emotivamente carica, muovendo non “dal punto di vista di Dio” – attizzando gli scontri delle ermeneutiche religiose e teologiche – ma “dal punto di vista storico”, della storia del pensiero, dell’arte, della scienza, della politica.

Non v’è ambito umano nel quale l’idea di Dio non abbia giocato un ruolo centrale, una funzione, una pressione, uno stimolo, un ostacolo, un’ispirazione. Sebbene Dio non stia in nessuna delle idee che di lui ci facciamo, nel complesso esse costituiscono un sistema copernicano che ci “decentra” continuamente, obbligandoci ad andare, ogni volta, un po’ più in là, oltre ogni categoria, sempre altrove.

Come dice il racconto biblico su Elia, Dio non era nel terremoto, non nel fuoco, non nel vento, ma in una sottile voce di silenzio. La fiction rabbinica ha trovato un modo originale per esprimere questa strana, impossibile ubicazione del divino, lo ha chiamato semplicemente haMaqom, il Luogo.

Condizione di tutto, non è in nessuna parte; è l’idea dell’insieme che prevale sui dettagli, insiste Levi Della Torre in forza della sua esperienza di pittore e architetto (un tutto che regge anche quando i particolari difettano); è la forma di pensiero che contiene e spiega ogni altro pensiero, e l’essere e il nulla; di essa hanno bisogno i dotti non meno che gli ignoranti, seppure per ragioni e in modi diversi. Non è questo un libro che cerchi la provocazione. Piuttosto, è la reazione alla più provocatoria delle idee dell’umanità, come un nodo che tenga avvinte tutte le questioni. La lista di chi se ne è occupato coincide con il fior fiore dei filosofi e degli scienziali, dei poeti e degli artisti. In cima alla lista Levi Della Torre pone l’amato Dante, naturalmente, che è a un tempo teologo e poeta, seguito da Platone e Leopardi, Montale e Qohelet, Primo Levi e Giobbe, Pascal e Ovidio... certo una lista che ha ben poco senso, poiché nessuno che davvero “pensi” può fare a meno dell’idea di Dio. Ma queste riflessioni sul divino non mirano a essere un moderno bignami, sono soprattutto pensieri sul presente, che tentano di dire “dove siamo” in quest’epoca di veloci cambiamenti (a tutti i livelli) e di profonde innovazioni (ovvie, quelle tecnologiche). Quasi che l’idea di Dio fosse una cartina di tornasole per valutare i precipitati antropologici cui stiamo assistendo, un po’ da attori e un po’ da spettatori. Siamo usciti da un’epoca di proporzionalità, afferma l’intellettuale milanese, in cui si poteva ancora misurare il rapporto tra cause ed effetti, e siamo entrati in pochi decenni in un’epoca di sproporzioni, nella quale ogni misurazione è saltata, facendoci perdere certezza o garanzia che la storia sia sotto il controllo delle nostre capacità razionali. Siamo, forse di nuovo, in un’età di incertezze e di imponderabili, «l’età – scrive Levi Della Torre – in cui il minuscolo atomo ha prodotto la devastazione più grande». Per commentarla ecco il geniale sommo poeta: “Poca favilla gran fiamma seconda” (Paradiso 1,34). In siffatto scenario come può sorprendere che l’idea di Dio sia più attuale e più necessaria di prima? Se essa esprime e catalizza e metabolizza, al contempo, ogni istanza di razionalità e di irrazionalità, più che mai essa sarà evocata e invocata in questo frangente storico, sarà ripresa e rilanciata, sarà usata e forse ri– abusata (come in passato). Non aveva profetizzato Martin Heidegger che “ormai, solo un dio ci può salvare”? Non era, quello heideggeriano, un dio con la D maiuscola. Era solo una forma retorica, che faceva l’occhiolino agli dèi della Grecia, allontanatisi nel frattempo dalla cucina di Eraclito per aleggiare sul Führer del Terzo Regno germanico e il suo grottesco

Gott mit uns. Ma poco importa, l’uso dell’idea divina non è vietabile a nessuno, neppure ai criminali, individui o sistemi politici che siano.

Ma conoscere evoluzione, fortuna e sfortuna di quest’idea, ciò di cui non sapremmo pensarne una maggiore, come spiega la famosa prova ontologica di Anselmo d’Aosta, può oggi esserci di aiuto: è l’umanità che misura se stessa su quest’idea, è il bene che si autotutela dietro ad essa, ma è anche il nostro senso cririco e la nostra capacità di resistenza al male che ne escono rafforzati. L’idea più laica, l’idea più universale. More hebraico monstrata.

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