Il mare è da sempre "marcatore di identità" della Costa d'Amalfi. E proprio dal mare gli uomini del territorio trassero quel nobile patrimonio di insigni reliquie di suoi Santi. E a tal proposito prendiamo in prestito l'autorevole testimonianza di don Giuseppe Imperato, storico rigoroso ed apprezzato uomo di chiesa: «Narra la leggenda che dal mare sia arrivata a Ravello la preziosa reliquia del sangue di San Pantaleone. Dello stesso tenore leggendario fu il ritrovamento della bella statua lignea della Madonna col Bambino, avvolta in un sacco, impigliatosi fra e reti che dei pescatori di Maiori ebbero la fortuna di tirare sulla spiaggia di quella città. In modo ancor più mirabile viene tramandata la cronaca del ritrovamento delle spoglie della Vergine e Martire Santa Trofimena sulla spiaggia di Minori. Amalfi ebbe il singolare privilegio di avere il corpo dell'apostolo Andrea. Fu l'insigne Cardinale Pietro Capuano, che, trovandosi nella capitale bizantina per missione diplomatica, venuto a conoscenza che nella basilica dei Santi Apostoli era custodito il corpo dell'apostolo, segretamente se ne impossessò e (lo) fece trasportare fino a Conca dei Marini. Da qui, poi, con grandioso corteo di sette navi e di moltissime barche, con solennissima pompa, l'8 maggio 1208, sino alla cattedrale, dov'era arcivescovo Matteo, suo zio».
E la splendida piazza Duomo in ogni suo angolo rievoca straordinarie pagine di storia della città. Qui proprio di fronte alla cattedrale vi è la fontana, sormontata dalla statua di Sant'Andrea con la sua croce. L'acqua freschissima disseta indigeni e turisti e la leggenda popolare le attribuisce proprietà miracolistiche. Qui un altro anticipo di storia bella. A pochi passi c'è la chiesetta di Santa Maria a Piazza (originariamente Sancta Maria de Platea), detta anche chiesa di Santa Maria di Portosalvo. Il duomo, la cui facciata policroma si presenta in tutto il suo splendore di luce e di bellezza in cima alla monumentale, imponente e quasi aerea scalinata è dedicato a Sant'Andrea ed è di sicuro uno dei monumenti più belli d'Italia e del mondo. L'interno è uno scrigno di tesori d'arte e va visitato con il supporto di una guida specializzata per gustarlo in tutta la sua bellezza e ricchezza. Assolutamente da non perdersi la visita alla Cripta, che presenta al centro la tomba dell'Apostolo, in cui si respira aria di grande ed intensa religiosità. Anche qui l'arte regna sovrana, soprattutto, ma non solo, nelle sculture di Michelangelo Naccarino, discepolo del Buonarroti. La pratica del precetto della messa domenicale non è solo un intenso atto di fede ma anche un godimento dello spirito che nella fruizione dell'arte sublime ci avvicina ancor più a Dio, quasi in un anticipo di Paradiso. Oltretutto una visita guidata al duomo ci consente una lettura ragionata di straordinarie pagine di storia della città, che, fu, è bene ricordarlo, la prima delle quattro repubbliche marinare e costituisce vanto e gloria del Mezzogiorno d'Italia.
Nel duomo infatti troviamo tracce del passaggio di operatività di tre Grandi Amalfitani: il cardinale Pietro Capuano, Pantaleone De Comite e Filippo Augustaricchio. Del primo ho già ricordato che la sua figura è legata al ritrovamento ed alla traslazione delle sacre reliquie del Santo Patrono avvenuta l'8 maggio del 1208, ma non solo. E Amalfi lo ricorda come uno dei suoi figli più illustri con un busto in bronzo proprio nell'atrio della cattedrale, esaltandolo come «patrizio munifico. E diplomatico illustre che il tramonto delle patrie ricchezze illuminò con lo splendore del suo nome e delle sue». Il secondo fu quello che oggi chiameremmo un grande "armatore" e che si consegnò alla imperitura memoria dei posteri come straordinario illuminato e lungimirante mecenate. Ed il suo mecenatismo più fecondo lo esercitò ad Amalfi, la città che gli aveva dato i natali e nel cui nome operava nello scenario dei grandi traffici del Medioevo. E pensò ad un dono da sbalordire e ci riuscì. Si rivolse allo scultore più noto del tempo, Simone di Antiochia, e gli commissionò quelle che sono considerate le prime e le più importanti Porte di Bronzo realizzate a Costantinopoli e messe in opera in Italia. Le donò alla Cattedrale della tua città nel 1060. Fu una meraviglia per tutti e stupiscono ancora gli uomini di cultura e di arte, come i normali turisti che da secoli si incantano a decifrare le scene dei vari pannelli davanti al Duomo sotto l'artistico colonnato in cima alla monumentale scalinata.
Narrano, naturalmente, l'albero genealogico della sua famiglia, ma ne sono protagonisti in prevalenza Santi, Madonne ed episodi di storia religiosa. I meriti del terzo, Filippo Augustaricchio, arcivescovo metropolita da 1266 al 1292/93, furono numerosi e significativi. Ma l'opera che più di ogni altra lo avrebbe consegnato ai posteri fu il Chiostro Paradiso. Lo fece costruire tra il 1266 e il 1268 e lo destinò a Cimitero dei nobili della città. Fecero a gara le famiglie più in vista (Issalla, Del Giudice, Bemba, Favaro, de Guizzone) a costruirvi cappelle gentilizie decorate con ornamenti arabescati e dedicate rispettivamente a S.Maria Maddalena, S.Andrea, S.Salvatore, SS.Crocifisso. Il primo a trovarvi degna sepoltura (gennaio 1282) fu un esponente della sua famiglia, suo fratello Giovanni Augustaricchio, dotto giureconsulto, noto per aver curato le "Consuetudines Amalphiae". Si impegnò perché il sacro luogo fosse venerato per culto ed ammirato per arte e bellezza. E ci riuscì. Ma, alla sua morte, con il tempo fu trascurato e abbandonato al degrado. L'ultimo e definitivo restauro risale al 1934 ad opera della Sovrintendenza ai monumenti di Napoli, sollecitata dal compianto arcivescovo Ercolano Marini, il cui ricordo è ancora vivo nel cuore degli Amalfitani.
E così oggi il Chiostro, tenuto in modo inappuntabile, dove i visitatori sono accolti con garbo e gentilezza da custodi e guide di encomiabile professionalità, è uno dei monumenti della città più visitati. Ed è stupore agli occhi dei turisti di tutte le età, di qualsiasi ceto sociale e livello culturale e di ogni continente. E non a caso. Io non sono un esperto d'arte, però concordo con gli addetti ai lavori che lo considerano uno degli esempi più significativi del romanico amalfitano con quel quadriportico coperto con volte a raggiera e con quelle pareti esterne ad archi intrecciati di stile decisamente moresco che scaricano su coppie di eleganti piccole colonne di marmo con capitelli a stampella. È una fuga di luce che si rifrange sui ricami, penetra tra le colonne, filtra nel fogliame dei palmizi verdi, si posa sui fiori e ne esalta la policromia. Qui più che altrove, nel silenzio ovattato, che sa di mistero e preghiera, si avverte subito che ad Amalfi c'è una cifra impalpabile, ma vera, ed è la luce: luce il cielo che occhieggia a scaglie, luce anche il vento/brezza che carezza palme, fiori e colonne e veleggia tra chiese e case e corteggia, a carezza d'amore, i limoneti che decorano con palle di sole compatto l'attiguo giardino dell'episcopio e scalano il cielo su per i terrazzamenti a sbalzo verso le alture, superbe di verde e sole, del Monte Aureo, che incombe e srotola festoni di bellezza giù dal pino di Capodicroce a conquista dirupante di mare. E, a chiudere gli occhi, mentre intorno alitano profumi di perenni efflorescenze mediterranee, sembra di captare anche fruscii lievi: sono, forse, voli a palpiti di luce delle ombre in libera uscita dal vecchio cimitero a rincorsa di quelle di San Lorenzo del Piano. E, così, nell'aria rarefatta ed assorta sembra di respirare attimi di sospensione tra vita e morte, nell'incantesimo da anticipo di eternità. A me è capitato spesso. Sono sicuro che capiterà anche ai tanti che parteciperanno alla Festa di Sant'Andrea come a quella di Santa Trofimena a Minori, i Santi venuti dal mare, e che coglieranno l'occasione per vivere una bella giornata di turismo religioso, carica di emozioni forte ed intense.
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