LUNEDÌ 1 LUGLIO Beato Antonio Rosmini Sacerdote e Fondatore



Antonio Rosmini nasce il 24 marzo 1797 a Rovereto (oggi provincia di Trento), secondogenito di una famiglia di alta condizione: il padre, Pier Modesto, era patrizio tirolese; la madre, Giovanna, proveniva dalla famiglia dei Conti Formenti di Riva.

Dal 1804 al 1814 compì i primi studi. Nel Diario personale già in quest’epoca compaiono le prime annotazioni attestanti la chiamata a seguire il Signore più da vicino. Dopo due anni di studi privati di filosofia, matematica e fisica (1814-1816), sostenne gli esami finali nell’Imperial Regio Ginnasio di Rovereto, al tempo città asburgica, ottenendo in tutte le materie la qualifica di “eminenza” e un giudizio che lo dice “dotato di acutissimo ingegno”.

Compì gli studi giuridici e teologici presso l’Università di Padova e ricevette a Chioggia, il 21 aprile 1821, l’ordinazione sacerdotale; gli fu assegnato l’incarico di vicario parrocchiale a Lizzana. Dal 1826 si trasferì a Milano dove strinse un profondo rapporto d’amicizia con Alessandro Manzoni che di lui ebbe a dire: “è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l’umanità”.

Il 20 febbraio 1828, presso il santuario del Monte Calvario, a Domodossola, fondò l'” Istituto della Carità” (l’approvazione pontificia arrivò nel 1839). Formato da sacerdoti e laici con voti semplici e perpetui ma anche da religiosi e vescovi “ascritti“, l’organismo nacque con finalità ben precise: l’esercizio della carità universale, unione di quelle forme che Rosmini ordina in “carità spirituale”, “carità intellettuale” e “carità temporale”. Un ordine tuttavia suscettibile di cambiamenti a seconda delle esigenze espresse dal prossimo.

Papa Pio VIII (Francesco Saverio Castiglioni, 1829-1830) disse a Rosmini, in udienza il 15 maggio 1829 : « È volontà di Dio che voi vi occupiate nello scrivere libri: tale è la vostra vocazione. Ella maneggia assai bene la logica, e la Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori: dico, di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione. Tenetevi certo, che voi potrete recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandovi nello scrivere, che non esercitando qualunque altra opera del Sacro Ministero. »

Nel 1832, vennero fondate le “Suore della Provvidenza“, il cui carisma non si differenzia dal ramo maschile ed è caratterizzato dalla fiducia totale nei disegni della Divina Provvidenza; la prima superiora fu Madre Giovanna Camilla Antonietti di Baceno.

Questi istituti, pensati e voluti come ambienti propizi alla formazione umana, cristiana e religiosa di quanti ne avessero condiviso lo spirito, adattandosi alle contingenze storiche, civili e culturali del suo tempo. Il Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978), in occasione dell’udienza del 12 gennaio 1972, lo definì “profeta” che in anticipo di un secolo sente e individua problemi dell’umanità e pastorali, sviluppati in futuro nel Concilio Vaticano II.

Nel 1832 completò la stesura della sua opera più nota: “Delle cinque piaghe della santa Chiesa” considerata precorritrice dei temi conciliari. Una di queste faceva molto soffrire Antonio Rosmini: la separazione tra fedeli e clero durante le funzioni liturgiche, per l’impossibilità dei primi di seguire le preghiere formulate in latino, avanzando la proposta di seguire le lingue proprie di ogni popolo. Per la novità di alcune sue idee sulla riforma della Chiesa, l’opera fu messa all’indice nel 1849 con tutte le polemiche che ne seguirono.

Solamente con san Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) avviene la completa riabilitazione della sua figura: nella lettera enciclica, “Fides et ratio“, annovera Rosmini “tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio”, concedendo l’introduzione della causa di beatificazione.

Precedentemente anche il Beato Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli, 1958-1963), negli anni prossimi alla sua morte, fece il ritiro spirituale sulle rosminiane Massime di perfezione cristiana, ideate per definire il fondamento spirituale sul quale tutti i cristiani potessero garantirsi un cammino sulla perfezione, assumendole come propria regola di condotta.

Papa Giovanni Paolo I si laureò in sacra teologia all’Università Gregoriana di Roma con una tesi su “L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini“.

Il Rosmini fu un profondo pensatore e autore di numerose opere che investivano tutti i campi del sapere, filosofico, teologico, ascetico, pedagogico, giuridico e politico ma, ad un certo momento, trova grave opposizione da parte di un ristretto gruppo di avversari, i quali semplicemente “accusano” le sue dottrine, filosofiche e teologiche, come devianti dall’ortodossia. Insorgono fervidissimi difensori e, a por fine alla polemica, interviene Gregorio XVI (Bartolomeo Cappellari, 1831-1846) con un decreto di “silenzio” ad ambedue le parti, che solo Rosmini diligentemente rispettò.

Antonio Rosmini si ritira a Stresa, dove aveva il noviziato del suo Istituto; continua lo studio e la sua opera di scrittore. Intanto, a Roma, dal 1851 si inizia presso la Congregazione dell’Indice l’esame di tutte le sue opere: esame che si conclude col decreto di “dimissione“, cioè di “assoluzione” delle accuse che si facevano alle sue dottrine. Quando giunse il decreto “Dimittantur“, del 1854, ne ringraziò il Signore, ma staccato ormai dalle cose terrene. L’aggravarsi del mal di fegato, di cui aveva sofferto tutta la vita, lo portò man mano al passo estremo.
Muore il 1° luglio 1855; è sepolto all’interno del Santuario del SS. Crocifisso di Stresa. Sul letto di morte, aveva lasciato all’amico Alessandro Manzoni, il testamento spirituale: “Adorare, Tacere, Godere”. È sepolto all’interno del Santuario del SS. Crocifisso di Stresa.

Padre Antonio Rosmini è stato beatificato il 18 novembre 2007, nel Palazzetto dello Sport di Novara, nel corso della celebrazione presieduta dal Card. Josè Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, a ciò delegato da Papa Benedetto XVI.
Aleteia

Sacri Monti / Un pellegrinaggio gerosolimitano in surplace

Alla fine del quindicesimo secolo, mentre la flotta ottomana spadroneggiava sul Mediterraneo orientale rendendo impossibile ai cristiani il pellegrinaggio verso i luoghi santi di Gerusalemme, due furono i modi, entrambi dettati dalla fede e presieduti dalla capacità immaginifica, con cui, nelle nostre terre, si ovviò all'impedimento: il primo, più solipsistico e riservato ai pochi alfabetizzati, consistette nel figurarsi ciascuno da sé il proprio viaggio inventandoselo a partire dalle suggestioni evocate dalla lettura dei diari di chi lo aveva realmente compiuto; il secondo, invece, molto più teatrale, corale e popolare, fu quello di ricostruire in patria gli scenari dei luoghi della passione di Cristo, con microarchitetture popolate da statue policrome a grandezza naturale, preferibilmente erette in siti montuosi, da cui derivò loro il nome di Sacri Monti.

L'inventore di questo Gran teatro montano, come cinque secoli dopo lo avrebbe soprannominato Giovanni Testori, fu Bernardino Caimi, vicario dell’ordine dei frati minori del Comune di Milano e già Custode del Santo Sepolcro; mentre il primo a credere in quell'impresa e a finanziarla largamente fu Ludovico il Moro (anche se quei baluardi, poiché posti esclusivamente a guardia della fede, non avrebbero fermato l'avanzata dell’esercito francese che di lì a poco avrebbe causato la sua rovina e ciò contro ogni – per fortuna da lui mai avanzata – pretesa di ‘Gott mit uns‘ ante litteram). Luogo prescelto fu l’alta valle della Sesia, allora facente parte del ducato sforzesco, oggi invece amministrativamente piemontese.



Lo scopo era quello di far sì che, senza solcare il periglioso mare, i fedeli potessero beneficiare della medesima indulgenza plenaria insita nel pellegrinaggio in Terra Santa semplicemente visitando la Nuova Gerusalemme, come Bernardino Caimi aveva battezzato la sua opera che doveva sorgere super parietem a Varallo.

L'idea fu salutata con entusiasmo da papa Innocenzo VII che il 21 dicembre 1486 concesse al frate milanese l’autorizzazione ad accettare la donazione dei terreni da parte dei maggiorenti varallesi, così che questi, ottenuti dal compiaciuto e illuminato Ludovico Maria Sforza una parte dei fondi necessari, poté dare avvio al cantiere per la costruzione del cammino devozionale.

I lavori, iniziati nel Rinascimento e conclusisi a metà Ottocento, hanno dato origine a cinquanta cappelle, al cui interno sono ‘cinematograficamente’ allestite le scene della Vita e della Passione di Cristo, con più di ottocento personaggi a grandezza naturale, abbigliati con abiti in tessuto vero e con capelli veri, ospitati in ambienti con arredi essi pure veri, in una drammaturgia carica di pathos inducente l'empatia.

Nei quattro secoli in cui è durata la costruzione del Sacro Monte, a Varallo si sono alternati innumerevoli artisti, alcuni eccelsi, le cui opere hanno reso, tra l'altro, questo luogo sacro un autentico museo di Arte Lombarda che vale sempre la pena di visitare.

Soprattutto in epoca post tridentina, l'esempio di Varallo fu largamente imitato, al punto che oggi si possono contare ben nove Sacri Monti in Lombardia e in Piemonte, dedicati alla rappresentazione degli eventi o misteridella vita di Cristo, della Vergine e di alcuni santi, tutti entrati a far parte, dal 2003, del Patrimonio dell'Unesco. Oltre a quello valsesiano, il sito dell'Unesco comprende anche il Sacro Monte di Santa Maria Assunta di Serralunga di Crea; quello di San Francesco, di Orta San Giulio; quello del Rosario, di Varese; quello della Beata Vergine, di Oropa; quello della Beata Vergine del Soccorso, di Ossuccio; quello della Santa Trinità, di Ghiffa; il Sacro Monte del Calvario, di Domodossola e quello di Belmonte, di Valperga.

Narratore della loro storia devozionale, delle loro vicende culturali e artistiche e delle vicissitudini politiche che li hanno riguardati è Guido Gentile che nel suo bel libro Sacri Monti, recentemente pubblicato da Einaudi (pp. 280, € 38) approfondisce dottamente ognuno di questi aspetti in uno studio di avvincente lettura, redatto consultando documenti originali conservati in archivi pubblici e privati, nonché mettendo a confronto i sermoni e i testi teologici ispiratori della iconografia di queste narrazione figurate, di questi luoghi della memoria, quali le singole cappelle vengono ad essere. E così, a dar sostanza a quelle concepite dal Caimi per Varallo, scorrono tra le righe le immagini evocate dalle omelie di Bernardino da Siena, accanto a quelle dei predicatori milanesi, molto ammirati dal frate loro conterraneo, quali Michele Carcano e Bernardino de Busti. O ancora le suggestioni suscitate sul suo immaginario dalle opere dei Padri della Chiesa che trattano dei misteri della passione e morte di Cristo, non ultime quelle dello Pseudo Bonaventura. Nel libro, ad esempio, è riportata un’appassionata omelia del Caimi, datata 1488, che sembra essere la prefigurazione del programma teologico-artistico della sua Nuova Gerusalemme, una sorta di rievocazione della mappa mentale dei luoghi santi da lui visitati in prima persona e narrati ai fedeli riuniti per ascoltarlo:

«Voglio raccontarvi ciò che vidi con i miei occhi e toccai con le mie mani della passione del nostro amabile Redentore. Vi prego, ascoltate tutti e intendete con gli orecchi del cuore, percepite i luoghi della passione del nostro Redentore secondo l’ordine bellissimo che io, peccatore, fra Bernardino Caimi di Milano, vidi più volte e secondo i quali narreremo la passione. Primo: vidi la casa in cui si incontrarono Scribi e Farisei per trattare la morte di Cristo. Secondo: vidi la casa in cui Cristo andò per essere unto da Maria Maddalena [la leggenda medievale della Maddalena la identifica con la donna che nella casa di Levi unse di balsamo i piedi di Cristo].Terzo: Vidi il tempio in cui andò Cristo per esservi accolto con onore dalle folle. Quarto: vidi la casa [di Betania] in cui Cristo andò per discorrere con la sua benedetta madre della sua passione. Quinto: vidi la casa in cui Cristo andò per cenare con i discepoli. Sesto: vidi l’orto in cui Cristo andò per essere preso dai soldati. Settimo: vidi la casa di Anna in cui Cristo fu condotto perché si decidesse di lui. Ottavo: vidi la casa di Caifa dove Cristo fu condotto per essere schiaffeggiato. Nono: vidi la casa di pilato dove Cristo fu condotto per essere accusato dai giudei. Decimo: vidi la casa di Erode dove Cristo fu condotto per essere condannato. Undicesimo: vidi il palazzo di Pilato dove Cristo fu condotto per essere dileggiato. Dodicesimo: vidi il Monte Calvario dove Cristo fu condotto per esservi crocifisso. Tredicesimo: vidi il Sepolcro in cui Cristo fu posto per la sepoltura.»

Ma i testi di riferimento nel volume di Gentile sono moltissimi e non vi compaiono soltanto quelli di scrittori ecclesiastici; molte, infatti, sono le suggestive citazioni tratte dalla letteratura laica dei resoconti del pellegrinaggio gerosolimitano che descrivono i luoghi santi e che sono stati indubbie fonti di ispirazione per il Caimi. E neppure vi manca la menzione dei trattati di meditazione che parlano dei ficta loca, o luoghi ideali, in cui era opportuno che il buon cristiano si ritirasse a meditare. Vi si fa inoltre cenno ai procedimenti dell'ars memorandi trasmessi dalla retorica classica a San Tommaso, a Bartolomeo da San Concordio, a Iacopo Publicio e Iohannes Romberch e a come essa potesse essere indotta anche da “luoghi reali come quelli in cui si fissavano immagini emblematiche o allegoriche di nozioni e di argomenti da rammemorare.” Esattamente come accade nei Sacri Monti, che sono al contempo luoghi reali e ficta loca perché frutto di immaginazione.

Dopo una prima parte di carattere introduttivo, in cui Guido Gentile si diffonde lungamente sul Sacro Monte di Varallo (a cui sono dedicate moltissime pagine, con un incondizionato omaggio all'arte e alla drammaturgia di Gaudenzio Ferrari), prototipo di tutti i sacri monti successivi, nel suo libro affronta la lettura dei restanti otto inseriti nel sito dell’UNESCO e di molti altri ancora, esclusi da quella lista ma presenti su tutto il nostro territorio nazionale, dal Piemonte alla Calabria, ed anche quella di luoghi santi europei, facendoci scoprire nessi e contraddizioni, identità e splendide disuguaglianze rispetto al loro modello. Al di là delle differenze, ad accomunarli è comunque l’intento didattico, quello stesso anelito di proselitismo così ben individuato fin dal 1881 dallo studioso inglese Samuel Butler, uno dei primi ad essersi occupato dell'argomento:

«Lo scopo è quello di mettere nel modo più vivace la scena sotto gli occhi della gente che non è capace di immaginarsela da sé, gente che non ha viaggiato e non ha coltivato le facoltà immaginative. Un contadino italiano, come potrebbe figurarsi l’Annunciazione meglio che guardando la cappella del Sacro Monte di Varese? Il senso comune avverte che o non bisogna dir nulla dell’Annunciazione a un contadino, oppure bisogna facilitargli con ogni mezzo la possibilità di concepire quell’idea con qualche chiarezza.»

I Sacri Monti, come scrive Guido Gentile, “rispecchiavano l’istanza di una messa in scena dei misteri tale da renderli attuali nella percezione dei destinatari e da favorirne la persistenza nella loro memoria.”

Il suo libro si configura, insomma, come un vero e proprio atlante dei Sacri Monti, ma è anche il trattato filosofico e storico-artistico più completo che sia mai stato scritto fino ad oggi su queste realtà devozionali. Negli ultimi due capitoli, contempla, addirittura, i sacri monti mancati e analizza tipologie di sacri monti particolari, come, ad esempio, il Varallino di Galliate, la Via Crucis di Cerveno e il monte sacro di Monselice con le stupende cappelle progettate da Vincenzo Scamozzi e le tele di Iacopo Palma il Giovane, siti che meritano, tutti indistintamente, una visita ma soprattutto, anche grazie a questo studio, una rinnovata attenzione.
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Si apre ufficialmente sabato 29 giugno 2019 alle ore 21.15, presso i giardini del torrione nel parco del S. Monte Calvario di Domodossola il festival “Oxilia - teatro e musica per la terra d’Ossola, II ed”

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Organizzato dalla Cappella Musicale del S. Monte Calvario, in collaborazione con Compagnia Dellozio. Il festival si aprirà con lo spettacolo Skua 1940, con la regia di Robi Lombardi e prodotto da Laribalta Artgroup di Novara. Uno spettacolo tratto da una storia vera, che narra le vicende di due equipaggi delle aviazioni tedesca e inglese, che nell’aprile del 1940 si abbattono a vicenda e trovano rifugio in una baracca isolata e lontana da qualsiasi segno di civilizzazione nel raggio di centinaia di chilometri. Malgrado l'ostilità reciproca, i nemici sono costretti a collaborare per sopravvivere alle condizioni ambientali avverse e alla scarsità di viveri. La convivenza forzata produrrà effetti inaspettati. Skua 1940 vede la regia cimentarsi con una storia drammatica, trattata con una intelligente e ben dosata ironia, che ne fa uno spettacolo dalle molte sfaccettature e in grado di parlare a vari livelli. La tragicità della guerra lascia scorre quasi senza che ce ne accorgiamo nel meccanismo della sterzata comica, caricando i personaggi di Skua di ritmo e piacevolezza, facendoli diventare più umani. Ci sono momenti divertenti e situazioni tragiche, la crudezza della guerra accanto al comico che scaturisce, inatteso, in condizioni estreme. Regia: Robi Lombardi Con Andrea Gattinoni, Federico Spaltini, Matteo Chippari, Matteo Minetti, Matteo Morigi Supervisione musicale: Luca Lombardi Adattamento: Matteo Chippari Costumi: Daria Pasinetti Scenotecnica: Giacomo Concina Lo spettacolo si svolgerà presso i giardini del torrione nel parco del Sacro Monte Calvario di Domodossola. Ingresso a offerta libera. In caso di maltempo la rappresentazione verrà spostata presso la sala Bozzetti, all’interno del convento dei P.P. Rosminiani del Sacro Monte Calvario. L’inaugurazione ufciale è stata preceduta dalla rievocazione storica “Peregrinatio Sancti Antonii”, che ha commemorato l’arrivo del quadro miracoloso del santuario di Anzino, in Valle Anzasca. Con questa iniziativa tra sacro e popolare Oxilia ha voluto manifestare il proprio profondo legame con il territorio e la volontà di collaborare con tutte le realtà che in esso operano. L’evento ha infatti goduto di una straordinaria partecipazione di pubblico. Il festival proseguirà poi il 5 luglio con un concerto per l’inaugurazione della mostra “La stanza in cui mi piace star solo” presso Palazzo Silva a Domodossola e la sera del 6 luglio con il concerto di San Quirico per i trent’anni dell’omonima Camerata Strumentale. Tutte le informazioni sul sito www.oxilia.it. 

In vacanza in estate 39 milioni di italiani. Il Calvario di Domodossola un luogo ideale


Sono 39 milioni gli italiani che hanno deciso di andare in vacanza nell’estate 2019, un numero sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno. È quanto emerge da una analisi Coldiretti/Ixè divulgata nel primo weekend dopo l’inizio dell’estate, dalla quale si evidenzia una tendenza a ritardare le partenze per le incertezze del meteo dopo un mese di maggio eccezionalmente piovoso con il maltempo che ha rallentato le prenotazioni.
L’Italia resta di gran lunga la destinazione preferita che, sottolinea Coldiretti, è scelta come meta dall’86% ed è sempre il mare a fare la parte del leone per 7 italiani su 10 (70%), anche se in molti casi in combinazione con le città d’arte, la montagna, i parchi e la campagna. La maggioranza degli italiani in viaggio, rileva Coldiretti, ha scelto di alloggiare in case di proprietà, di parenti e amici o in affitto ma nella classifica delle preferenze ci sono nell’ordine anche alberghi, bed and breakfast, villaggi turistici e gli agriturismi che fanno segnare un aumento del 3% rispetto allo scorso anno.
E se in piena estate è il mare ad essere più, gettonato all’inizio e alla fine della stagione turistica estiva particolarmente apprezzate sono anche le scelte alternative per conoscere una Italia cosiddetta “minore” dai parchi alla campagna fino ai piccoli borghi, che fanno da traino al turismo enogastronomico con ben il 92% delle produzioni tipiche nazionali che nasce nei comuni italiani con meno di cinquemila abitanti. L’intera filiera turistica, ricorda l’associazione, “si compone di 612mila imprese con oltre 700 mila unità locali, e rappresenta il 10,1% del sistema produttivo nazionale, superando il settore manifatturiero. Elevata l’incidenza dell’occupazione: con 2,7 milioni di lavoratori, al turismo si deve il 12,6% dell’occupazione nazionale secondo elaborazioni dati Unioncamere”.

Incontro Internazionale di Architettura al Sacro Monte Calvario di Domodossola: fil rouge, l'architettura scandinava


Incontro Internazionale di Architettura al Sacro Monte Calvario di Domodossola: fil rouge, l'architettura scandinava


Architetti a confronto in Val d'Ossola all'Incontro Internazionale di Architettura: fil rouge, l'architettura scandinava.

L'edizione 2019 si svolgerà dal 20 al 24 giugno, con un incontro aperto al pubblico, sabato 22 giugno al Calvario, che sancirà l'incontro della Val d'Ossola con la Scandinavia.

La prima edizione dell'Incontro Internazionale di Architettura, nel 2002, aveva richiamato nel piccolo borgo piemontese di Canova architetti da Stati Uniti, Brasile e Gran Bretagna. Nelle successive occasioni, promosse dall'Associazione Canova, la "formula magica" di questo appuntamento – che si rinnova di anno in anno e che nel 2019 raggiungerà la maggiore età – ha sempre portato nel cuore della Val d'Ossola professionisti e celebri architetti da ogni parte del mondo: Slovenia, Scozia, India, Cile, Svizzera, Mali, Yemen, Inghilterra, Canada, Indonesia, Turchia...

Nei primissimi anni 2000, partendo dalle conoscenze personali e dai contatti con le Università americane, Ken Marquardt, presidente dell'Associazione Canova, si fece promotore di un convegno annuale internazionale di architettura: è così che professionisti provenienti da diverse parti del mondo, da diciotto anni, si ritrovano tra i muri in pietra di case antiche – lontane migliaia di chilometri dalle proprie nazioni – per uno scambio di esperienze e per presentare la propria visione progettuale e artistica.
segnalazione web a cura di Turismo Culturale
tratto da ossolanews

Riflessione sulla vita contemplativa dopo una visita al Calvario di Domodossola


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Ai Padri Rosminiani del Santuario e ai giovani Novizi della casa di formazione:

... La vita contemplativa è un segno stabile della vita attiva, sua tipizzazione, concentrato di azioni e parole che, per intensità e ordine, riflettono le forme sintetiche del comportamento nella vita del mondo, di cui spesso sono le matrici generative.

Nella preghiera e nella ripetizione dei gesti, nonostante non sia semplice condividere la quotidiana frequenza, per ordinaria distrazione e naturale sbilanciamento, si opera per limare uno stile del semplice, un carattere essenziale e organico delle esistenze che emergono dal silenzio con il loro corpo e la loro voce, perfezionandosi per il canto comune.

Il silenzio ci riguarda. Lascia emergere il timbro di ciascuno, il gusto della preghiera: come scultore, il silenzio, collabora però al perfezionamento della persona che nella comunità addestra l'arte di essere corpo, l'arte di amalgamarsi bene per restituire il gusto della comunità, pur essendo una parte che tende ad amplificare o a disperdere sé stessa, se non sottomessa al silenzio.

Tutto nella vita contemplativa partecipa quindi della relazione tra materiale e spirituale, particolare e universale: dal canto, alla preghiera, alla preparazione del cibo, al lavoro manuale, allo studio, alla pulizia del corpo e degli ambienti. 

Ciascuno di questi gesti, tanto ordinari nella vita mondana, chiede di raffinare nella vita contemplativa la sintesi di un comportamento nel suo rapporto con l'essenziale, perduto nel tempo secolare. Questo avviene grazie al silenzio non giudicante. 

La forma di un carisma emerge grazie a questa collaborazione con il sapore di noi stessi che, se educato alla vita della cellula di comunità, attirerà anche il desiderio delle forme attive che non conoscono il particolare e l'universale insito nel microcosmo contemplativo.

Per questo motivo, e non solo, la vostra vocazione diviene nel nostro tempo un'arte fondamentale.

Marina