Quello del turismo religioso è un fenomeno multiforme che negli ultimi anni sta vivendo una primavera unica. Così esordisce Don Gionatan De Marco, Direttore Ufficio nazionale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport della Conferenza Episcopale Italiana, in questa profonda e illuminante analisi, ricca di spunti e riflessioni per il futuro del turismo nel suo complesso. Un anticipo del suo intervento alla Giornata di Formazione per i gestori di strutture ricettive religioseche si terrà a Milano il prossimo 25 ottobre.
Don Gionatan De Marco - Il turismo religioso, negli ultimi anni, sta vivendo una primavera unica.
Un fenomeno davvero curioso se si pensa alla liquidità della società e alla frammentazione della persona, eppure il “religioso”, lo “spirituale” è cercato, desiderato e vissuto. Evidentemente, la cultura contemporanea ha lavorato, senza saperlo, a far riscoprire all’uomo la nostalgia del Divino, a fargli sperimentare la fame di senso.
La domanda turistica è alla ricerca di nuovi orientamenti, in grado di restituire un nuovo senso del viaggio, basato sull’esperienza, in una rinnovata ricerca di autenticità, di fattori emozionali e sorprendenti, di recupero delle matrici culturali e di luoghi inusuali, lontani dalla massificazione e intrisi di spiritualità. Da questo punto di vista, il segmento turistico connesso a motivi devozionali – o più genericamente spirituali – non soltanto continua ad avere un messaggio da offrire, ma appare decisamente anticiclico, con tendenza ad un continuo aumento.
Le differenze con i pellegrinaggi delle epoche passate non sono poche. Se ciò che muoveva l’homo viator in epoca medievale e moderna era la meta, spesso cercata in una Basilica o Santuario significativo per la cristianità universale e locale, oggi ciò che muove le persone è la ricerca di un “luogo”. Nella società dei “non-luoghi”, infatti, le persone ricercano di sentirsi accolti e riconosciuti, in situazioni in cui le relazioni sappiano offrire calore, il patrimonio di cultura e tradizioni sappia stupire e le persone abbiano qualcosa da raccontare, meglio se di unico e significativo, per ritrovare se stessi e il senso di una vita affamata di speranza.
Quello del turismo religioso è un fenomeno multiforme.
L’aspetto spirituale è soltanto uno dei tasselli che ciascuno può inserire all’interno di un viaggio o una vacanza, del resto dedicati ad attività prettamente ricreative, non certo banalmente inquadrabili nei tradizionali pellegrinaggi: la figura del pellegrino e quella del visitatore appaiono sempre più come riferimenti ideali per indicare rispettivamente la religione e l’effimero, la solennità e la frivolezza, all’interno di uno spazio condiviso in cui non necessariamente sono alternativi.
Esiste un continuum tra religione e turismo, dove i pellegrini solenni dell’iconografia tradizionale sono affiancati da un pellegrino/visitatore, forse meno serio ma più esistenziale, o persino ricreativo, pur non necessariamente consumerista.
Gli ultimi dati certi rimangono quelli diffusi dall’Organizzazione Mondiale del Turismo che, insieme ai numeri offerti dall’Isnart, l’Istituto nazionale ricerche turistiche, offrono il senso di un mondo del travel salvato dai moderni pellegrini, in particolare cattolici. Un genere di visitatori che rappresenta l’1,5% dei flussi turistici complessivi dell’Italia e appartiene a ogni fascia d’età: lontani dagli stereotipi del pullman parrocchiale colmo di anziani diretti ad un Santuario, il 41,4% di chi viaggia per fede ha fra i 30 e i 50 anni.
Gli stranieri vengono per visitare Roma, ma anche Assisi, Padova, Pompei, Loreto, Oropa, San Giovanni Rotondo, Cascia e molte altre località, rivelando un potenziale di crescita enorme: le tradizioni e la cultura religiosa nel Bel Paese, con la presenza di importanti Santuari di riferimento e di antiche vie di storia, di cultura e di pellegrinaggio, non hanno eguali nel mondo.
Domanda - Gli aspetti principali di questo cambiamento che toccano l’offerta e con cui le strutture religiose devono confrontarsi.
Don Gionatan De Marco - Giovanni Paolo II ebbe a scrivere: «È necessaria una educazione individuale e collettiva al turismo, ovvero una profonda e convinta educazione umanistica all'accoglienza, al rispetto del prossimo, alla gentilezza, alla comprensione reciproca, alla bontà. Ed è necessaria anche una educazione ecologica, per il rispetto dell'ambiente e della natura, per il sano e sobrio godimento delle bellezze naturali, tanto riposanti ed esaltanti per l'anima assetata di armonia e di serenità. Ed è soprattutto necessaria un'educazione religiosa, affinché il turismo non turbi mai le coscienze e non abbassi mai lo spirito, ma anzi lo elevi, lo purifichi, lo innalzi al dialogo con l'Assoluto e alla contemplazione del mistero immenso che ci avvolge e ci attira».
Mi sembra che gli aspetti principali del cambiamento con cui le strutture religiose dovranno confrontarsi nei prossimi anni sono principalmente tre.
La domanda che non chiede più soltanto un ricovero ma una comunità ospitale. Non soltanto un giaciglio ma un’esperienza del “luogo”. Non una qualsiasi esperienza generica e standardizzata ma un’esperienza straordinaria e speciale, alimentata da una grande capacità di narrazione.
Il futuro si affaccia con dinamiche solo parzialmente vissute fino ad oggi.
Occorre dunque modificare con urgenza le fasi di progettazione, preparazione e realizzazione dei luoghi e dei prodotti turistici, individuando modelli di fruizione complessi e compositi, in grado di considerare fattori paesaggistici (ovvero la spiritualità dei luoghi, le attrattive ambientali, i patrimoni materiali e immateriali e le soddisfazioni psicofisiologiche che i viaggiatori ritengono di poter trarre visitando una località o un territorio), fattori strumentali a valore aggiunto (il complesso dei servizi offerti, in grado di trasformare una banale meta turistica in destinazione) e – su tutto – l’elemento umano, che contribuisce al posizionamento del prodotto e ne determina il senso e la qualità.
Le strutture religiose sono chiamate forse più delle altre a confrontarsi con questi cambiamenti di scenario, poiché rappresentano più di altri “il volto umano” dell’accoglienza e la spiritualità dei luoghi.
Domanda - Lo scenario futuro della domanda e dell’offerta di ospitalità religiosa.
Don Gionatan De Marco - La domanda, come si è detto, va nella direzione di richiedere una piena valorizzazione delle percezioni dei viaggiatori, in una dinamica sempre meno “standard” e sempre più diretta e personale. L’orientamento dell’offerta, di conseguenza, non potrà che essere quello di migliorare l’accoglienza, soprattutto dal punto di vista della relazione umana, nel rispetto del Creato.
Verso un turismo sempre più sostenibile.
Una strategia fertile per il futuro dovrebbe consistere nell’avvicinare l’etnografia itinerante all’etnografia locale: ovvero imparare ad accogliere le diversità, nel rispetto del punto di vista autoctono, di coloro che abitano i luoghi, alimentando le dinamiche relazionali (ed economiche) che sostengono entrambi. Da questo punto di vista, i Cammini sono paradigmatici. Non so dire quanto possa essere replicabile nel nostro Paese, ma credo che la domanda sia influenzata dall’esperienza del Cammino di Santiago, definita “quête” dai francesi e “búsqueda” dagli spagnoli e dai brasiliani, ovvero un viaggio di ricerca identitaria e di autoformazione, in cui la componente della riflessione su sé stessi è fondamentale, ma in una relazione aperta con i luoghi, con il prossimo e con l’alterità.
I Cammini, come le antiche Vie di pellegrinaggio e di culture, sono infrastrutture non soltanto carismatiche e ricche di suggestioni positive, ma modelli di integrazione organizzativa, sempre più necessari affinché le case di ospitalità religiosa siano integrate in una vera e propria “rete di comunità”.
Su tutto, immagino per il futuro debba essere tesorizzata la buona prassi dei Parchi Culturali Ecclesiali: iniziative di Chiesa, su base diocesana o interdiocesana, capaci di realizzare sistemi territoriali di riferimento per l’integrazione dei beni culturali, dei sistemi di accoglienza e delle strutture di ospitalità. Penso che il lavoro avviato da Mons. Mario Lusek sia stato visionario e profetico: il grande patrimonio di spiritualità che nel tempo la Chiesa ha realizzato, non disgiunto dai patrimoni d’arte e di cultura, può effettivamente diventare un cardine del sistema di accoglienza, narrazione, promozione e fruizione esperienziale dei diversi territori del nostro Paese.
Dove questi modelli si stanno avviando – generando un importante effetto “interno” alla diocesi, verso la realizzazione di una pastorale integrata, contribuendo a realizzare una Chiesa aperta e “in cammino” – sono già dimostrabili importanti risultati sul piano dello sviluppo turistico sostenibile, in piena sintonia tra aumento dei flussi di visitatori, tutela del Creato e benessere delle comunità locali (con riflessi non secondari sull’occupazione, in particolar modo dei giovani). Con la prospettiva di migliorare le prestazioni individuali e collettive in termini di accessibilità e di inclusività delle esperienze, verso un turismo “per tutti” che contenga una promessa e un orizzonte di senso per ciascuno.
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