Ospitalità Religiosa


Nella fedeltà alla tradizione Rosminiana, anche oggi la comunità del Calvario accoglie quanti – uomini e donne, laici e religiosi, singoli, famiglie e gruppi… – vogliano condividere qualche momento della sua esperienza umana e spirituale, nella ricerca dell’incontro con Dio e con gli uomini e le donne del nostro tempo. La Comunità apre le sue porte a credenti e non credenti, desiderosi di confrontarsi e di ospitarsi reciprocamente nel rispetto delle propri cammini personali.
Le modalità di accoglienza presenti al Sacro Monte Calvario di Domodossola possono essere varie:
  • periodi di condivisione dei ritmi della vita religiosa, con la possibilità di partecipare alla preghiera liturgica ed, eventualmente, di colloqui personali;
  • accoglienza nei tempi di Quaresima, Pasqua, Avvento e Natale per momenti di ritiro e di preghiera;
  • proposte spirituali e culturali;
  • accoglienza di gruppi autogestiti (parrocchie, associazioni religiose e laiche, scout, convegni a carattere culturale, gruppi di meditazione ecc...).
A tutti coloro che vorranno farci visita e condividere, nell’arricchimento reciproco, la perenne novità che nasce dall’ascolto, dall’incontro, dalla preghiera… la comunità rivolge il suo più cordiale benvenuto.
- Accoglienza Calvario Domodossola

PELLEGRINAGGI: QUANDO IL VIAGGIO È QUESTIONE DI FEDE

Oggi portare in giro i pellegrini per il mondo significa anche tener conto degli equilibri geopolitici e dell’attualità internazionale. Non sorprende, perciò, vedere sulla scrivania di monsignor Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi, un libro sulla storia della Turchia, il Paese che ha appena visitato con una delegazione del clero romano guidata dall’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario del Papa per Roma. «La visita ha rappresentato un momento molto bello all’insegna della fraternità, soprattutto nell’incontro che abbiamo avuto con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I», racconta Chiavarini. «La nostra visita si è svolta in un periodo cruciale per la Turchia, Paese chiave negli equilibri mediorientali. Non a caso negli stessi giorni del nostro pellegrinaggio si è svolto l’incontro fra il presidente turco Erdogan, il presidente russo Putin e quello iraniano Rouhani».
L’Opera romana pellegrinaggi è la struttura del Vicariato di Roma che dal 1934 offre assistenza tecnica, logistica e spirituale ai pellegrini che vogliono visitare i luoghi più significativi della fede cristiana, dalla Terra Santa ai grandi santuari mariani come Lourdes e Fatima. Monsignor Chiavarini, che preferisce farsi chiamare don Remo, è marchigiano di Sassoferrato, ha 65 anni e quando lascia l’ufficio di via della Pigna, a due passi dal Pantheon, torna a fare il prete alla parrocchia di San Clemente, nel quartiere di Montesacro.
Don Remo, si ricorda quando ha partecipato per la prima volta a un pellegrinaggio?
«Sì, ero studente in seminario e a Pasqua mi offrii di accompagnare i gruppi di pellegrini dell’Opera, così andai a Lourdes in treno. Ricordo una Messa molto emozionante nella basilica sotterranea».
Poi ne ha fatti altri?
«Sì, sono stato accompagnatore dei gruppi per diversi anni. Ricordo viaggi a Lourdes, anche con il treno bianco dei malati, e viaggi in pullman, ma allora si diceva torpedone, in Austria».
Da allora come sono cambiati i pellegrinaggi?
«Oggi i voli aerei a basso costo hanno cambiato tutto. L’aereo ha portato tanti miglioramenti e ha velocizzato i tempi, però la qualità dell’esperienza del pellegrinaggio si è un po’ impoverita. Ci si incontra negli aeroporti, che sono dei non luoghi tutti uguali nel mondo, poi in poche ore si viene catapultati in un posto. I tempi della convivenza si riducono e prevale l’esperienza individuale, anche se i nostri viaggi sono ancora fatti in gruppo e per noi è molto importante mantenere questa caratteristica».
Quali sono i luoghi più amati dai pellegrini?
«La Terra Santa, Lourdes e Fatima monopolizzano il 90 per cento dei pellegrinaggi. In ciascuno di questi luoghi portiamo ogni anno circa 4 mila persone. In Italia quelli più frequentati sono Loreto, Assisi, Padova, Pompei, ma lì i pellegrini e le parrocchie si organizzano da soli. C’è poi il caso di Medjugorje, una meta che attrae sempre più pellegrini. Noi non proponiamo nel nostro catalogo pellegrinaggi diretti a Medjugorje, ma a quelle parrocchie e a quei gruppi che ci chiedono un aiuto offriamo il nostro supporto da un punto di vista tecnico e religioso, in modo tale da garantire un adeguato accompagnamento che serva a vivere un’esperienza di fede autenticamente ecclesiale».
In luoghi così affollati come i santuari, magari deturpati da brutti edifici moderni, si riesce a vivere ancora un’esperienza di fede?
«È un rischio reale. A Lourdes, ad esempio, si percepisce un efficientismo che a molti pellegrini trasmette una sensazione di aridità. A Fatima, invece, si respira una maggiore spiritualità ».
Ricordo una Via Crucis a Gerusalemme con i vostri pellegrini scortati dai militari israeliani con il mitra spianato. Il pellegrinaggio in Terra Santa va sempre bene, nonostante le tensioni nella regione?
«La Terra Santa cominciò il suo boom dopo il viaggio di Paolo VI nel 1964, un gesto che fu davvero profetico e che spinse molti cristiani a intraprendere il pellegrinaggio nei luoghi di origine della loro fede. Nonostante i problemi che a volte ci sono, la gente non rinuncia a questo viaggio, che rimane un’esperienza forte, di gruppo, lunga otto giorni, di grande arricchimento culturale e spirituale. Un fenomeno interessante di questi ultimi tempi è il boom dei pellegrini cinesi in Terra Santa. Sono in crescita vertiginosa, grazie ad accordi con le autorità israeliane e grazie soprattutto alla spinta del mondo pentecostale, che in Cina sta facendo molti proseliti».
I cristiani in Terra Santa stanno diminuendo, i pellegrinaggi li confortano?
«Sì, i viaggi dei pellegrini sono un motivo di speranza e anche di aiuto per le attività economiche dei cristiani che sono rimasti in Medio Oriente. Però queste comunità cristiane non devono restare inermi e vivere di rendita, contando sui flussi di pellegrini. Dovrebbero darsi da fare e stare in piedi da sole, altrimenti rischiano di essere travolte dalle altre comunità. Il cristianesimo in quei luoghi deve restare una presenza viva, il rischio è che restino solo i monumenti».
in Famiglia Cristiana

Antonio Rosmini / La volontà di Dio attraverso le circostanze

Antonio Rosmini era conosciuto per essere uno degli ingegni più fervidi della Chiesa del suo tempo. Anche se vide messo all’Indice il suo libro Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, ebbe la stima dei papi dell’epoca e di santi come don Bosco. La sua religiosità si esprimeva nel lasciare a Dio di indicare la Sua volontà attraverso le circostanze esteriori esaminate al lume della ragione e della fede


di Giovanni Ricciardi - in 30giorni.it

«Se Ella pensa di cominciare con una piccola cosa e lasciare tutto il resto al Signore noi approviamo e siamo ben contenti che Ella faccia». A queste parole del papa Pio VIII, Antonio Rosmini capì che l’idea da lui concepita di fondare una nuova congregazione religiosa era davvero volontà di Dio. Siamo nel maggio 1829. Rosmini aveva allora 32 anni, otto di sacerdozio, e già era conosciuto come uno degli ingegni più fervidi della Chiesa del tempo. Era stato introdotto negli ambienti intellettuali di quella Milano che fu la culla del Romanticismo italiano. Aveva incontrato e frequentato Niccolò Tommaseo e Alessandro Manzoni. Aveva ottenuto la stima e l’affetto di Maddalena di Canossa, fondatrice delle Figlie della Carità, recentemente canonizzata (1988). Tutti vedevano in lui uno spirito straordinario, lo esortavano a mettere in opera grandi progetti. E lui aveva riflettuto, pregato, immaginato per tanto tempo. Ma solo dopo quell’udienza gli fu chiaro che doveva incominciare davvero. 
Era nato il 24 marzo del 1797, secondogenito di Piermodesto Rosmini Serbati, patrizio del Sacro Romano Impero, e di Giovanna, dei conti Formenti di Biacesa sul Garda. Nobiltà d’antico lignaggio. Ingegno, propensione agli studi filosofici, una giovinezza permeata di una cultura aperta a una dimensione europea. Ma il giovane Antonio, deludendo le aspettative dei genitori, aveva deciso di farsi sacerdote. Frequentò teologia a Padova, dove insegnava il futuro papa Gregorio XVI che approverà, nel 1838, la regola del suo Istituto. Dopo l’ordinazione, un giovane prete di quella levatura sociale e intellettuale avrebbe potuto aspirare a una brillante carriera ecclesiastica, magari accademica. Ma percepiva il pericolo di questa posizione. «Proprio questo suo tendere e darsi così agli interessi culturali» scrive Remo Bessero Belti, biografo di Rosmini, «poteva essere una “tentazione” per il giovane Rosmini […] il pericolo della “superbia”, non della carne ma dello spirito. Dio lo preservò da questo, dobbiamo proprio dire. Ce lo fa pensare una sua annotazione del 1813, veramente straordinaria per un giovane di 16 anni: “1813. Quest’anno fu per me anno di grazia: Iddio mi aperse gli occhi su molte cose e conobbi che non vi era altra sapienza che in Dio”» (R. Bessero Belti, Antonio Rosmini. Profilo biografico, Domodossola 1997, p. 5). 
I primi anni del suo ministero a Rovereto (Trento) erano stati un periodo di raccoglimento, dedicati alla preghiera e allo studio. Iniziava però a raccogliere intorno a sé alcuni sacerdoti per tenere loro delle letture della Summa theologica di san Tommaso. «In quel clima storico e culturale era un fatto quasi inconcepibile, un ritorno alla grande tradizione della Chiesa» spiega monsignor Clemente Riva, rosminiano e studioso di Rosmini, già vescovo ausiliare di Roma. 
Poi, l’invito a dar vita a un istituto religioso. È proprio Maddalena di Canossa a proporlo a Rosmini, esortandolo a fondare il ramo maschile delle sue Figlie della Carità. Rosmini ringrazia, riflette, ma non passa all’opera. Sono gli anni in cui matura in lui un desiderio vivissimo di corrispondere alla volontà di Dio senza metterci nulla di suo, lasciando a Lui l’iniziativa. Lo chiamerà Dio, se vuole, quando vuole. Prende forma, nella spiritualità di Rosmini, il cosiddetto “principio di passività”. «Quanto al resto» così lo spiega il Belti «studio, attività, lavoro, condizione di vita, non sceglierà da sé, non sceglierà questa o quella condizione di vita, questa o quella attività, e neppure un’opera di carità piuttosto che un’altra: lascerà a Dio di indicargliela attraverso le circostanze esteriori “esaminate al lume della ragione e della fede”» (op. cit., p. 6). È Dio che agisce, insomma. 
Nel 1827 a Milano conosce un giovane sacerdote francese, Giovanni Battista Loewenbruck, «robusto, biondo, vivace, con sul corpo i segni delle dure battaglie, anche cruente, in favore degli operai parigini, sfruttati ed abbrutiti, che egli istruiva, confortava ed aiutava, appoggiandone i diritti». E attraverso questo incontro capisce che è il momento di chiedere a Dio che cosa vuole da lui. Gli viene indicato un santuario, vicino Domodossola (Verbania), il Sacro Monte Calvario, e i due si ripromettono di trascorrervi insieme la Quaresima del 1828, in ritiro e preghiera. Ma il Loewenbruck lo raggiungerà lassù solo dopo Pasqua. In quei mesi, nella solitudine, Rosmini getta le fondamenta del suo Istituto. Per il momento, da solo. Più tardi raccoglierà intorno a sé i primi compagni e le prime critiche per quella scelta che lo “escludeva” dal ritorno nella buona società e nei salotti milanesi. «Gli amici rimpiangono il bene che avrebbe potuto fare in mezzo al mondo col suo impegno e fascino spirituale. Qualcuno dice anche che è “impazzito” ed egli risponde: “Se questa è pazzia sono contento di esserlo per Cristo”» (P. Rinaldo Nave, Profilo biografico di Antonio Rosmini, Rovereto 1996, pag. 15). 
Poi, il viaggio a Roma, il colloquio col Papa, l’approvazione verbale, l’invito ad andare avanti senza però rinunciare agli studi filosofici. Anzi, questa è per Pio VIII ancora la sua prima missione: «È volontà di Dio che Ella si occupi nello scriver libri. Tale è la sua vocazione. La Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori, dico di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini non rimane oggi altro mezzo che quello di prenderli con la ragione e per mezzo di questa condurli alla religione. Si tenga certo che Ella potrà arrecare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandosi nello scrivere che non esercitando qualunque opera del sacro ministero». 
Rosmini ubbidirà entusiasta mentre si dedica a porre le fondamenta dell’Istituto della Carità. Non immagina che proprio quello “scriver libri” raccomandatogli da un papa sarebbe stato l’origine del suo calvario, in vita e post mortem, per gli attacchi che gli verranno lanciati da allora in poi, specie da dentro la Chiesa. 
Una prima difficoltà nasce al momento dell’approvazione delle Costituzioni. I problemi che iniziava ad avere con il governo austriaco lo portarono a definire il voto di povertà per i membri del suo Istituto come puro distacco spirituale dai beni. A fronte di ciò, Rosmini prevedeva che i suoi discepoli potessero possedere beni e case anche a titolo personale. Il suo timore era che, in tempi di persecuzione, i governi avrebbero potuto confiscare i beni ecclesiastici. Aveva visto giusto, intuendo “profeticamente” quello che sarebbe accaduto in Italia pochi decenni più tardi. I Rosminiani costituivano una libera associazione di cittadini che mantenevano tutti i loro diritti, compreso quello di possedere: di fatto, proprietari delle case e dei collegi erano i singoli religiosi che, alla morte, lasciavano per testamento i loro beni a un confratello. Questo schema, approvato con difficoltà a Roma, servirà poi ad altri istituti per fondarsi e sussistere anche dopo la legge Rattazzi sul sequestro dei beni della Chiesa in Italia. Ad esso si ispirò anche don Bosco per i suoi Salesiani. Don Bosco, dopo aver conosciuto Rosmini, dirà di lui: «Non ricordo di aver visto un prete dire la Messa con tanta devozione e pietà come il Rosmini. Si vedeva che aveva una fede vivissima, da cui proveniva la sua carità, la sua dolcezza, la sua modestia e gravità esteriore». 
Nel frattempo il suo Istituto si diffonde prima in Inghilterra e poi in Irlanda. Un giovane scozzese, William Lockhart, amico e discepolo prediletto di John Henry Newman, capo del movimento di Oxford (movimento religioso che aveva lo scopo di promuovere il riavvicinamento dell’anglicanesimo alla Chiesa cattolica), incontrando i Padri Rosminiani si convertì al cattolicesimo. Newman ne rimase molto colpito, così come quando Lockhart gli fece leggere le Massime di perfezione cristiana, il testo chiave della spiritualità rosminiana. Così Rosmini, pur se indirettamente, ebbe un ruolo nella conversione di Newman, anche se i due non si conobbero mai personalmente. 
Rosmini continua dunque a scrivere, pubblicando nel 1839 il Trattato della coscienza morale. È quest’ultima opera a dare occasione alla prima polemica sulle sue dottrine. Esce a ruota un libello anonimo a firma di un non meglio identificato “Eusebio Cristiano”, che accusa Rosmini in un modo che più tardi Pio IX definirà «vile, basso, triviale, senza segno di carità». Rosmini si decide a rispondere di persona; teme di non essere stato chiaro nell’esposizione delle sue dottrine. Ma si accorgerà subito che la questione non era “scientifica”, e da allora in poi non risponderà più. 
La polemica s’infiamma e i Gesuiti si schierano decisamente contro Rosmini, tanto che nel 1843 Gregorio XVI interviene sul caso imponendo il silenzio tanto a Rosmini quanto al superiore generale della Compagnia di Gesù. Ma le cose non finiscono lì. Rosmini accetta e continua la sua opera di scrittore. In quegli anni confida in una lettera ad un amico: «Quanto a quello che dite dei feroci morsi che mi danno molti, è a ringraziare il Signore, non punto a sgomentarsene. Il Signore lo permette, e non possono trapassare la linea che Egli ha loro prescritta; e questa linea la disegna la sua sapienza infinita, la sua infinita bontà. Di questo sì vi prego, che mi abbiate presente innanzi all’altare del Signore, ottenendomi da lui la grazia di non offenderlo, né dando così altrui giusta cagione di rampogna. Quando Iddio mi facesse questa sola grazia nella sua immensa misericordia, confido che l’anima mia altro sentimento non proverebbe che di allegrezza per quanto avviene e fanno gli uomini». La pubblicazione del suo famoso saggio Delle cinque piaghe della Santa Chiesa è di poco precedente una delicata missione diplomatica che Carlo Alberto gli affida presso Pio IX, su consiglio di Gioberti, nell’aprile del 1848. Gli attacchi contro di lui si stanno di nuovo moltiplicando. Ciononostante Pio IX lo accoglie con affetto e gli preannunzia il cardinalato. Sarebbe stato nel concistoro del dicembre di quello stesso anno. Ma l’Austria è contraria e Rosmini è sempre più criticato. Del cardinalato non si farà nulla. A Rosmini viene negata la possibilità di incontrare nuovamente il Papa, le udienze gli vengono rinviate con ogni sorta di pretesto. «E intanto» scrive Belti «le ombre sulle sue dottrine si addensano sempre di più. Pio IX si mostra gravemente preoccupato: nell’aprile 1849 scrive a Rosmini: “Con paterno affetto la esortiamo a riflettere sopra le opere da lei stampate, per modificarle, o correggerle, o ritrattarle”» (op. cit., p. 17). Rosmini è «nelle più fitte tenebre» come scriverà egli stesso. Invia subito una lettera al Papa: «Beatissimo Padre, io bramo modificare tutto ciò che ci fosse da modificare nelle mie opere, di correggere tutto ciò che ci fosse da correggere, di ritrattare tutto ciò che ci fosse da ritrattare […]. Io voglio appoggiarmi in tutto sull’autorità della Chiesa, e voglio che tutto il mondo sappia che a questa sola autorità io aderisco, che mi compiaccio delle verità da essa insegnatemi, che mi glorio di ritrattare gli errori in cui potessi essere incorso alle infallibili sue decisioni». Se questa lettera, consegnata alla nunziatura di Napoli, sia mai giunta nelle mani di Pio IX, non è dato sapere. Rimase tuttavia senza risposta. A giugno di quello stesso anno Delle cinque piaghe della Santa Chiesa è messo all’Indice. 
Gli ultimi anni Rosmini li dedica soprattutto alla cura e alla promozione della sua Congregazione, che vorrebbe tenere lontana dagli attacchi alla sua persona. È la sofferenza che più lo angustia: «D’una sola cosa» scriverà «ho qualche pena, ed è il vedere quale grave danno soffra l’Istituto della Carità dall’avere un capo che così fu trattato, e che tuttora è tenuto sotto un processo di cui parla tutto il mondo, che lo copre d’una nube di sospetti, e che, a quanto mi si scrive, non si pensa punto di risolvere con celerità, anzi di tener sospeso e protrarre indefinitamente. Ma Iddio conosce i tempi e i momenti e perciò non finirò mai di benedirlo anche di questo». 
Ma le accuse e i libelli anonimi continueranno ininterrotti fino alla sua morte, nonostante il Sant’Uffizio finisca per assolvere pienamente Rosmini nel 1854, con una formula su cui i suoi avversari giocheranno per portare Rosmini alla condanna post obitum delle famose “quaranta proposizioni” nel 1888. «La dichiarazione» spiega monsignor Riva «diceva: dimittantur opera omnia Antonii Rosmini, cioè: si lascino libere queste opere d’esser pubblicate e studiate. Il che non vuol dire che siano infallibili, ma che sono senza pericoli per la dottrina della fede. Successivamente invece, quella corrente che era ostile a Rosmini ha continuato a osteggiare il suo pensiero, fino ad arrivare ad interpretare questo dimittantur come un “non vogliamo prendere nessuna decisione in merito al pensiero di Rosmini”». 
«Dal timore di essere umiliato, liberami o Gesù», recita un’antica preghiera monastica. Questo fu per Rosmini letteralmente vero. Le sue parole del 1852 non lasciano adito a dubbi: «Il pensiero che tutto ciò che accade è volontà di Dio, è così dolce che basta da sé solo a renderci pienamente tranquilli e contenti […]. Io non posso finire di ringraziare il Signore, che fa intendere questa consolantissima verità; e mi sento così felice della mia umiliazione, che non vorrei uscirne, se non fosse per uniformarmi di nuovo al divino volere». 
Quando, nel 1855, Manzoni giunge a Stresa (Verbania) al capezzale dell’amico ormai vicino alla morte, mormora tra le lacrime: «Speriamo che il Signore la voglia conservare ancora tra noi, e darle tempo di condurre a termine tante belle opere che ha cominciate, la sua presenza tra noi è troppo necessaria». E Rosmini risponde: «No, no, nessuno è necessario a Dio: le opere che Egli ha cominciate, Egli le finirà con quei mezzi che ha nelle mani, che sono moltissimi, e sono un abisso al quale noi possiamo solo affacciarci per adorare. Quanto a me, sono del tutto inutile, temo anzi di essere dannoso; e questo timore, non solo mi fa essere rassegnato alla morte, ma me la fa desiderare». 
Morì il 1 luglio del 1855. Come gli aveva detto Pio VIII, dopo aver cominciato con “una piccola cosa”, aveva imparato a lasciare tutto il resto al Signore. 


Ospitalità Religiosa


Un luogo ideale per organizzare ritiri, esercizi spirituali, incontri di gruppo, vacanze e fine settimana di condivisione, corsi biblici, meditazioni, discernimento, presentazioni, convegni, concerti musicali, incontri e vacanze studio.

Si sperimenta la pace e silenzio di un luogo completamente immerso nella natura e tranquillità. La casa dispone di quattro aree notte distinte. Sono presenti camere singole e doppie, tutte dotate di bagno interno.

Vi aspettiamo per una visita di qualche ora, di una giornata, di qualche giorno o per un soggiorno in Primavera, in Quaresima, a Pasqua o in estate.
Borgata Sacro Monte Calvario8 –  28845 Domodossola VB

tel. +39 0324 24 20 10 


L’accoglienza dei gruppi rimane sospesa nel periodo invernale
dal 1 novembre al 15 febbraio

Simposi Rosminiani 19° Corso Il ‘68: una rivoluzione dimenticata o da dimenticare?

CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI ROSMINIANI - STRESA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
 
SIMPOSI ROSMINIANI
XIX Corso

 21 - 24 agosto 2018
COLLE ROSMINI
(Collegio Rosmini) - STRESA

In quella età, nella quale viene dato l’assalto alle istituzioni antichissime, è ben facile, è ben naturale che il comune degli uomini segua la bandiera innalzata dai nuovi settatori, mentre gli manca al tutto il modo di difendere quelle vecchie istituzioni nella sua propria opinione, ed apparentemente sembra che non vengano attaccati se non dei vieti pregiudizi, e degli inutili avanzi di tempi rozzi ed ignobili. Vi sono però insieme dei ciechi ostinati; vi sono di quelli che ritengono ciò che è vecchio per inerzia. Vi sono degli altri, che rimangono fedeli al passato per un segreto buon senso, di cui non saprebbero tuttavia dare a se stessi alcuna espressa ragione. Finalmente alcuni pochi, sommamente sagaci, si accorgono della ragione dell’inganno comune, e giungono ad accennare dove stia il falso delle nuove dottrine, riscoprendo le antiche origini delle cose, dimostrando perché le abbiano poste così gli antenati, e come questi siano venuti ad esse non tanto per la loro propria sapienza, quanto per la necessità che li costringeva a fare così. 

(Antonio RosminiFilosofia della politica, Ed. Critica, pp. 82-83)


Programma
Martedì 21 agosto
Ore 16.00   Saluto delle Autorità
Ore 16.30   Umberto Muratore, Introduzione
Ore 17.00  Giuseppe Lorizio (Prolusione), Il ’68 fra speranza, utopia e delusione: una lettura teologica
Ore 18.00    Dibattito
Mercoledì 22 agosto
Ore 09.00    Claudio Gentili – Laura Viscardi, Il ’68 e le metamorfosi della famiglia
Ore 10.00    Massimiliano Padula, Il ’68 e i media: immaginari, rappresentazioni, narrazioni
Ore 11.00    Dibattito
Ore 15.30    Tonino Cantelmi, L’amore ai tempi dei social: dal ’68 alla rivoluzione tecno-liquida
Ore 16.30    Piergiorgio Grassi, Una lettura sociopolitica del ’68 e dei suoi esiti
Ore 17.30    Dibattito
Ore 21.00    Serata conviviale e Concerto nel giardino di Villa Ducale (Centro Internazionale di Studi Rosminiani)
Giovedì 23 agosto
Ore 09.00    Luciano Malusa, Il ’68 tra filosofia e utopia
Ore 10.00    Matteo Nacci, Il ’68 e il Diritto: considerazioni storico-giuridiche
Ore 11.00    Dibattito
Ore 15.30    Claudia Caneva, Musica e utopia: il ’68
Ore 16.30    Philippe Chenaux, Il ’68 e Paolo VI
Ore 17.30    Dibattito
Ore 21.00    Villa Ducale: riunione del Comitato Scientifico e dell’Edizione Critica
Venerdì 24 agosto
Ore 09.00    Giorgio Campanini, Il ’68 e la Filosofia della politica di Rosmini
Ore 10.00    Umberto Muratore, Una lettura rosminiana del ’68
Ore 11.00    Dibattito e conclusioni

fonte: rosmini.it

Proposte di ospitalità al Sacro Monte Calvario di Domodossola


Nella fedeltà alla tradizione Rosminiana, anche oggi la comunità del Calvario accoglie quanti – uomini e donne, laici e religiosi, singoli, famiglie e gruppi… – vogliano condividere qualche momento della sua esperienza umana e spirituale, nella ricerca dell’incontro con Dio e con gli uomini e le donne del nostro tempo. La Comunità, nella Casa di Ospitalità Religiosa, apre le sue porte a credenti e non credenti, desiderosi di confrontarsi e di ospitarsi reciprocamente nel rispetto delle propri cammini personali.

Le modalità di accoglienza presenti al Sacro Monte Calvario di Domodossola possono essere varie:
  • periodi di condivisione dei ritmi della vita religiosa, con la possibilità di partecipare alla preghiera liturgica ed, eventualmente, di colloqui personali;
  • accoglienza nei tempi di Quaresima, Pasqua, Avvento e Natale per momenti di ritiro e di preghiera;
  • proposte spirituali e culturali;
  • accoglienza di gruppi autogestiti (parrocchie, associazioni religiose e laiche, scout, convegni a carattere culturale, gruppi di meditazione ecc...).
A tutti coloro che vorranno farci visita e condividere, nell’arricchimento reciproco, la perenne novità che nasce dall’ascolto, dall’incontro, dalla preghiera… la comunità rivolge il suo più cordiale benvenuto.

Recettività 
- ospitalità: 60 posti letto in camere con servizi: triple, doppie e singole;
- convegni nella sala Bozzetti da 100 posti;
- ritiri ed esercizi spirituali anche per più gruppi contemporaneamente;
- rimessa auto in parcheggio interrato per 50 posti auto;
- mostre ed esposizioni nella sala Gaddo; brevi filmati documentari nella sala multimediale Clemente Rebora.

L’accoglienza dei gruppi rimane sospesa nel periodo invernale
dal 1 novembre al 15 febbraio

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